Basilicata, emergenza idrica: possibilità e soluzioni per evitare una nuova crisi

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Emergenza idrica Basilicata, la situazione attuale, tra paradossi e soluzioni ancora provvisorie: una corsa ai ripari necessaria per risolvere ogni criticità in maniera definitiva

Dopo quasi due mesi di acqua razionata, sono tornate gradualmente alla normalità le abitudini di 140 mila abitanti dei 29 comuni lucani interessati da una emergenza idrica senza precedenti che ha causato importanti disagi, soprattutto per le fasce di età più sensibili. Circa un quarto della popolazione coinvolta è composta infatti da over 65, spesso in condizioni di semi isolamento o comunque privi di assistenza specifica che hanno avuto difficoltà a reperire acqua potabile in autonomia quotidianamente (con un conseguente aumento del rischio di disidratazione e un peggioramento delle malattie croniche). Si aggiunge un 10% di neonati e bambini in età scolare e donne incinte e/ o in fase di allattamento. (fonte da dati ISTAT – Bilancio demografico 2023)

Fortunatamente le recenti precipitazioni e le ultime abbondanti nevicate hanno contribuito a riportare a livelli accettabili l’invaso del Camastra, consentendo quindi l’interruzione dell’approvvigionamento dalle discutibili acque del fiume Basento. Sempre ad inizio anno è stata risolta una consistente perdita che da anni interessava il Comune di Brindisi di Montagna.

Va sottolineato che la sempre crescente industrializzazione sta accelerando il consumo delle risorse idriche a un ritmo insostenibile, con conseguenze dirette sulla disponibilità d’acqua per la popolazione. Il 50% dell’acqua prelevata in natura è destinato all’agroindustria e all’allevamento intensivo, un ulteriore 30% è impiegato per la produzione di energia e l’attività mineraria. Solo il 20% rimane per l’uso civile. Eppure, nei momenti di crisi idrica, come quella che sta colpendo la Basilicata, i primi a subire restrizioni non sono le industrie, ma i cittadini. L’acqua viene razionata prima alle persone e solo in un secondo momento, se mai accade, ai grandi consumatori industriali.

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Tuttavia bisognerebbe correre ai ripari a 360 gradi affinché una situazione così grave non si ripeta mai più, in una regione che detiene il 25% delle risorse idriche di tutto il Sud Italia e che non può sperare in precipitazioni importanti per garantirsi approvvigionamento di acqua potabile 24 ore al giorno. Del resto la siccità che nel 2024 ha interessato molte regioni (tra cui anche la Basilicata) è soltanto l’ultima delle cause.

Correre ai ripari implica letteralmente il non stare ‘fermi’. I problemi evidenziati da questa emergenza, così come le soluzioni, sono molteplici, trasversali e distribuiti sull’intero territorio lucano. Bisognerebbe affrontarli e risolverli uno alla volta, come in un percorso a tappe, senza perdere altro tempo e analizzando i campanelli di allarme che continuano a palesarsi puntuali.

Partiamo dalla tanto discussa Diga Camastra, invaso incredibilmente privo di collaudo all’origine, la cui capienza e portata sono da tempo limitate anche a causa di tonnellate di sedimenti depositati sul fondo o sugli argini, mai dragati per via dei costi esorbitanti che richiederebbe una tale operazione. A tal proposito, a inizio dicembre abbiamo intervistato Massimo gargano, Direttore Generale ANBI che ci ha fornito il suo punto di vista e ci ha parlato dei fondi PNISSI stanziati dal Ministero delle Infrastrutture e indirizzati anche alla Diga in questione. Una conferma del paradosso relativo alla capienza ridotta si è palesata tra il 20 e il 23 gennaio 2025. Durante questi giorni (quindi dopo 2 mesi di acqua contingentata e a seguito di precedenti abbondanti precipitazioni) è stato necessario addirittura far sversare una grande quantità di acqua raccolta per mantenere la quota d’esercizio autorizzata.

Gli svuotamenti più ‘anomali’ e determinanti sono però avvenuti durante i mesi estivi e ad inizio autunno 2024, quando le acque dell’invaso hanno toccato il fondo segnando un minimo storico e lasciando poi a secco i rubinetti dei 29 comuni serviti dallo schema idrico ad essa collegato.

Da qui l’unica soluzione proposta dalla Regione Basilicata di captare il fiume Basento (con una spesa di 15 mila euro al giorno) e potabilizzarne le acque mediante processi chimici da molti ritenuti estremi. Questo fiume è infatti inserito tra i siti d’interesse nazionale per le sue acque per anni contaminate da pericolosi sversamenti presso la Zona Industriale di Tito (PZ). Si spera che la stessa Regione Basilicata e gli enti preposti colgano questa crisi come una grande opportunità di bonificare finalmente il sito per ripulire questo corso d’acqua che attraversa la città di Potenza all’interno dell’omonimo parco fluviale.

Lo step successivo sarebbe l’efficientamento e l’adeguamento di altri invasi presenti in Basilicata, come ad esempio la Diga di Monte Cotugno o la Diga di Acerenza, da sempre piena di acqua non utilizzabile in quanto priva di collegamenti e condutture. 

Si arriva inevitabilmente al nodo cruciale: l’efficientamento e la manutenzione di una rete idrica regionale che da anni fa acqua in ogni direzione, arrivando a raggiungere il 70% di dispersione e regalando ai lucani il triste primato nazionale di regione con la più alta percentuale di acqua persa (aggravato anche da continui allacci abusivi non monitorati).

Proseguendo questa corsa ai ripari, si arriva ad una ulteriore possibilità di captare numerose fonti di acque sorgive, disseminate capillarmente sull’intero territorio regionale, dal Parco dell’Appennino fino alla Val d’Agri, che spesso superano portate di decine di litri d’acqua al secondo.

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A monte di tutto si dovrebbe quindi consolidare un sistema amministrativo maggiormente efficiente e supportare gli enti preposti in un processo di digitalizzazione e di monitoraggio di tutti gli schemi idrici (vecchi e futuri) così da riuscire a gestire con efficacia da una parte la manutenzione delle condutture, dall’altra mantenendo sempre alta l’attenzione per lo stato di salute delle acque utilizzate e potabilizzate, effettuando costantemente prelievi a campione incrociati svolti da più laboratori, purché accreditati. 

Questa corsa d’acqua giunge al termine con un ultimo monito, sollevato dal Comitato Acqua Pubblica ‘Peppino Di Bello’ e da altre associazioni locali: evitare che la Regione Basilicata svenda le proprie preziose risorse idriche a enti come Acque del Sud S.p.A. che da oltre un anno già gestisce le acque della Diga Camastra e numerose altre risorse dell’Appennino meridionale, tra Campania, Basilicata e Puglia e che in qualunque momento potrebbe cedere fino al 30% delle quote a privati.

Bisogna inoltre scongiurare ed evitare che si sviluppi l’embrione di un primo water conflict. Dal 1999 è attivo un accordo di programma tra lo Stato e le regioni Basilicata e Puglia che ha garantito una gestione condivisa e solidale della risorsa idrica. Un modello di cooperazione interregionale unico in Europa che oggi rischia di trasformarsi in un terreno di scontro tra territori: da un lato la Basilicata, ricca di risorse idriche, dall’altro territori che ne sono privi, come la Puglia. In conclusione, affinché il popolo lucano possa rivedere la propria identità riflessa in uno specchio d’acqua pulito e trasparente, è necessario che lo siano anche la gestione e l’amministrazione delle rare e preziose risorse interne.

Qui il nostro racconto dei disagi vissuti a Potenza e in altri comuni coinvolti durante le festività natalizie.

Basilicata, il racconto di una crisi idrica per molti prevedibile che ha costretto 29 comuni a due mesi di interruzioni forzate, causando disagi per cittadini e attività commerciali

Facciamo un passo indietro. Siamo andati, approfittando delle imminenti vacanze natalizie, ad intervistare e chiedere riscontro ad alcune attività commerciali di Potenza e dei 29 comuni colpiti dall’emergenza: abbiamo scelto hotel, bar, ristoranti, lavanderie, caseifici e panifici. Nel cuore di Potenza e nei paesi limitrofi colpiti dalla crisi idrica, le attività commerciali hanno dovuto affrontare giorni di razionamento con soluzioni d’emergenza a proprie spese. Molti esercenti si sono attrezzati acquistando autoclavi, con un costo minimo di 300 euro, senza contare l’aumento delle spese per l’energia elettrica necessaria al funzionamento. Altri, invece, si sono affidati all’acqua erogata dal fiume Basento, ma con il timore crescente dei clienti, sempre più attenti a chiedere quale acqua venisse utilizzata. I disagi maggiori si sono avuti nei bar, dove nel centro storico di Potenza, lungo via Pretoria, dopo le 17 non era più possibile servire caffè, con un impatto economico significativo

Le bibite venivano versate in bicchieri di plastica, aumentando anche il problema ambientale oltre al costo dei bicchieri necessari per garantire l’efficienza dell’attività. Nei locali senza impianti di emergenza, i bagni restavano chiusi o si ricorreva all’uso di secchi, con evidenti difficoltà di gestione dell’igiene. Anche le pulizie subivano ritardi, dato che l’acqua spesso veniva erogata in orari non rispettati, a partire dalle 7:30 del mattino. Forni e caseifici, che tradizionalmente lavorano di notte, si sono trovati impossibilitati a produrre pane e latticini nei tempi abituali. Alberghi e lavanderie hanno vissuto una situazione altrettanto complicata, con disagi che si sono tradotti in cancellazioni e malcontento tra i clienti, con i costi per far fronte all’emergenza sono ricaduti interamente sugli esercenti.

Per settimane, la crisi idrica ha messo in ginocchio la città e le attività commerciali, in particolare quelle legate al turismo e alla ristorazione. Il  proprietario di un hotel nel centro storico racconta le difficoltà quotidiane legate alla mancanza d’acqua, che non solo complica la gestione dell’attività, ma ha anche generato un’ondata di disdette da parte dei clienti.

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Le prime conseguenze sono state le cancellazioni anomale: la gente ha percepito la situazione come un problema insormontabile, bloccando prenotazioni e viaggi. Il danno più grande, però, è stato l’effetto domino sulla percezione della nostra regione. La Basilicata è stata dipinta come un territorio privo di risorse, incapace di affrontare l’emergenza, e questo ha compromesso l’immagine del nostro turismo“.

La mancanza d’acqua, oltre a dissuadere i turisti, crea enormi problemi pratici:

Non è solo una questione di disagi, ma di sopravvivenza per le attività che dipendono dall’acqua. La pressione è ridotta al minimo, e in alcune zone l’acqua manca del tutto per ore. Gestire un hotel in queste condizioni è un’impresa. Non possiamo garantire un servizio adeguato ai clienti e i costi per sopperire alla crisi sono enormi. Gli elettrodomestici, come la macchina del caffè o quella per il ghiaccio, subiscono guasti continui a causa della pressione idrica instabile. Noi commercianti ci arrangiamo come possiamo, ma siamo lasciati soli, ogni giorno cerchiamo soluzioni per garantire ai clienti un servizio dignitoso. Ma chi viene a soggiornare in un posto dove non sa se potrà lavarsi dopo le cinque del pomeriggio?“.

A pesare, secondo il proprietario, non è solo la crisi in sé, ma anche il modo in cui è stata comunicata: “Nel periodo del Covid si cercava di dare un messaggio di speranza, qui invece il silenzio ha aggravato la situazione. Fuori regione hanno avuto l’impressione che qui non ci sia proprio acqua, mentre la realtà è più complessa. E intanto, chi può permetterselo, sta già guardando altrove.

La speranza è che si trovi al più presto una soluzione concreta, almeno per limitare i danni già ingenti che il settore turistico e alberghiero sta subendo. “All’esterno è passata l’idea che la Basilicata sia una regione senza acqua, senza spiegare che le attività si sono attrezzate e stanno resistendo. Questo ha causato un danno enorme al turismo. A Milano, molti miei amici lucani mi hanno chiesto increduli se davvero non avessimo acqua. È mancata una gestione chiara della crisi e della sua narrazione“.

Nonostante le difficoltà, la comunità locale ha cercato di reagire con resilienza. “Noi lucani siamo abituati a rimboccarci le maniche. Ma il problema resta: senza risposte concrete, senza un piano chiaro per il futuro, il rischio è che questa crisi si trasformi in una ferita profonda per il nostro territorio“.

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Nel cuore della città, un locale ormai storico per gli amanti della birra artigianale ha fronteggiato la crisi sottolineando che il problema non fosse solo la quantità, ma soprattutto la qualità dell’acqua che arriva dai rubinetti: torbida, rugginosa, inutilizzabile.

Apriamo alle 18, ma l’acqua ci viene staccata alle 17. Questo significa che ogni mattina devo venire a riempire taniche per poter garantire il minimo indispensabile: lavare bicchieri e attrezzature, permettere ai clienti di usare il bagno.” Una soluzione di emergenza che incide sui costi e sulla gestione quotidiana. “Non posso usare la lavastoviglie, non posso produrre ghiaccio, devo comprare bicchieri di plastica, e questo per un locale come il nostro è una penalizzazione enorme”.

L’emergenza si riflette direttamente sugli affari. “Chi viene a bersi una birra artigianale da otto euro, se poi gliela servi in plastica? Molti clienti preferiscono cambiare posto.” Il calo delle vendite è netto e si somma all’aumento delle spese per acqua in bottiglia e materiali usa e getta.

E il problema non riguarda solo il locale, ma anche la vita privata. “A casa non posso nemmeno farmi una doccia quando torno dal lavoro. Per cucinare, uso solo acqua comprata.” La frustrazione è evidente, e la domanda sorge spontanea: di chi è la responsabilità? “Non credo sia solo una questione di siccità, ma evidentemente anche di mala gestione. Sono decenni che la situazione è questa”. Un disagio che si ripercuote su tutta la città e che rende sempre più difficile portare avanti un’attività in un contesto già complesso.

Tra Potenza e Brindisi Montagna, abbiamo incontrato un imprenditore di un piccolo caseificio. La produzione di latticini, un mestiere antico e radicato nella cultura locale, richiede costanza, dedizione e – soprattutto – acqua. Un elemento che, paradossalmente, sta diventando un lusso: “Lavoriamo anche di notte per far fronte alle richieste, soprattutto durante le festività, ma se chiudono l’acqua, siamo bloccati. A Brindisi Montagna l’erogazione viene interrotta alle 19 e ripristinata solo la mattina successiva, con ritardi che incidono sull’intera filiera produttiva”, spiega.

La crisi idrica non è solo un ostacolo per la produzione, ma sta minando anche la fiducia dei consumatori. “Alcuni clienti chiedono quale acqua utilizziamo, altri invece non ci pensano proprio e smettono di acquistare per paura che venga usata quella del Basento. Noi ci siamo attrezzati con sistemi di raccolta, ma tutto è a spese nostre”, aggiunge l’imprenditore, evidenziando il peso economico della situazione.

Il problema si estende ben oltre il settore caseario. Lavanderie costrette a ridurre gli orari di apertura, attività commerciali che faticano a garantire i servizi, e una qualità dell’acqua messa in discussione: la crisi idrica potrebbe trasformarsi in un problema strutturale che potrebbe avere ripercussioni economiche e sanitarie nel lungo periodo. “Sto facendo delle analisi indipendenti, perché voglio capire fino in fondo cosa sta succedendo. La questione dell’acqua è destinata a diventare un’emergenza sanitaria, non solo economica”, conclude l’imprenditore, lasciando intendere che la battaglia per la trasparenza è solo all’inizio.

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Il tema dell’acqua torna spesso nelle conversazioni dei clienti di una panetteria del centro, tra chi chiede informazioni sugli ingredienti e chi si interroga sulla qualità dell’acqua utilizzata nei prodotti da forno. La titolare racconta episodi curiosi, come quello di una cliente che ha trascorso ore a leggere le etichette, alla ricerca di un’indicazione specifica sulla provenienza dell’acqua. “Io non devo indicare niente, non c’è una normativa che mi obbliga a farlo”, sottolinea, evidenziando un’attenzione crescente da parte della clientela per la qualità delle materie prime.

Il discorso si allarga poi alla situazione generale della fornitura idrica in Basilicata, tra dubbi sulla potabilità e preoccupazioni per le inefficienze del sistema. Se da un lato si leggono segnalazioni di acqua sporca o dall’odore sgradevole, dall’altro la panettiera non ha mai avuto problemi simili in casa propria, pur mantenendo una certa diffidenza. “Io bevo solo acqua comprata da sempre”, dice con fermezza.

Ma il punto centrale della discussione va oltre la questione tecnica: “Il vero problema è la gestione di questi servizi essenziali. Se chi prende certe decisioni non ha le competenze giuste, tra qualche anno ci ritroveremo punto e a capo”. La riflessione sfocia in un’amara constatazione sulla difficoltà di protestare e ottenere cambiamenti concreti in una regione dove, secondo lei, troppo spesso il merito cede il passo alle conoscenze personali. Un’analisi schietta, tra ironia e disillusione, che racconta non solo una panetteria, ma un pezzo di realtà lucana.



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