Lo strisciante e dilagante razzismo nella gestione del caso Almasri

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Le vicende più importanti del caso Almasri sono abbastanza note ed affrontate nella nostra rivista in due articoli molto dettagliati scritti da Ciro Cardinale. Rimandiamo a questi articoli del 24/01 e del 31/01 per una descrizione articolata e dettagliata di quanto accaduto. In quest’articolo vogliamo ripercorrere sinteticamente gli avvenimenti per aprire una riflessione sulla gravità dell’estensione del fenomeno razzista sia nelle istituzioni ma anche in vastissimi settori dell’opinione pubblica italiana. Una panoramica sintetica è comunque necessaria per riflettere attentamente sulle dinamiche complessive della gestione degli immigrati e sul fenomeno del razzismo radicato nelle istituzioni. Il 19 Gennaio è stato arrestato a Torino Najeem Osema Almasri Habish, conosciuto anche come Almasri, capo della polizia giudiziaria libica e responsabile della prigione di Mitiga, a Tripoli. Il mandato d’arresto è stato emesso dalla Corte Penale Internazionale. Quando era capomilizia Libico Al Masri è sospettato di aver ucciso e fatto uccidere detenuti, prigionieri, dissidenti, attivisti e poi migranti. E’ accusato di torture, sevizie e abusi sessuali dai 5 anni in su.  Sulla base di questi capi d’accusa il Tribunale dell’Aja ha emesso un mandato d’arresto internazionale per il quale l’Italia, essendo fra i membri sottoscrittori della Corte Penale Internazionale è obbligata a rendere operativa la sentenza e, poiché Almasriasri era a Torino per assistere alla partita Juventus-Milan, il generale è stato arrestato; tuttavia, secondo gli accordi internazionali spetta al Ministro della Giustizia Nordio il compito di eseguire le sentenze della Corte Penale Internazionale ma dal Ministero non è arrivata alcuna richiesta, quindi i giudici sono stati costretti il 21 Gennaio a rilasciare il generale libico che è partito con un volo di Stato per Tripoli in quella stessa data. Da qui segue la denuncia dell’avvocato Luigi Li Gotti a cui è seguita l’indagine condotta dal PM di Roma Francesco Lo Voi verso il Presidente del Consiglio Meloni, i ministri Nordio ( Giustizia), Piantedosi (Interni) e Mantovano (Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) per favoreggiamento personale e peculato. A questo punto scatta la polemica: Giorgia Meloni utilizza la vicenda per condurre un durissimo attacco a reti unificate verso la magistratura, e nello specifico verso il procuratore Lo Voi, colpevole, a suo dire, di utilizzare la vicenda a scopi politici in quanto, secondo la sua opinione, il magistrato non sarebbe stato obbligato dalle leggi italiane e dai trattati internazionali a compiere l’indagine, ma lo avrebbe deciso deliberatamente e la ragione per cui lo avrebbe fatto sarebbe stato l’ennesimo tentativo delle cosiddette “toghe rosse” di contrastare il governo attraverso l’uso politico e discrezionale della giustizia.  Nell’articolo di Ciro Cardinale – ma anche da quanto esposto finora – risulta piuttosto evidente che l’atto del magistrato sia stato obbligatorio e non volontario poiché la falla nell’esecuzione del procedimento sta proprio nella mancanza di comunicazione da parte del Ministero della Giustizia; ma non è questo il punto che in questa sede ci interessa analizzare. L’aspetto su cui è più interessante riflettere non è neanche l’accusa rivolta al magistrato da parte del governo – che, comunque rappresenta una modalità d’esercizio del potere completamente al di fuori di ogni assetto costituzionale e legale – quanto la potente azione di propaganda e di occultamento del fatto che il grosso della stampa ha compiuto rispetto al contenuto stesso dell’indagine, quindi ai fatti concreti. Spostare completamente l’attenzione sugli aspetti tecnico-giuridici dell’evento, quindi criticare l’accusa di peculato o disquisire se l’azione del magistrato fosse volontaria o obbligata, oltretutto forzando capziosamente anche l’interpretazione degli aspetti giuridici, significa spingere l’opinione pubblica a non riflettere sulle dinamiche effettive degli eventi e sulle cause di quest’azione maldestra del governo italiano; ovvero che il generale Almasri, secondo l’accusa ha torturato uomini, donne e bambini, verso i quali avrebbe compiuto anche abusi sessuali ed è stato rilasciato poiché svolgeva il compito di contenere gli sbarchi degli immigrati per conto dell’Italia, e più in generale degli Stati europei. E’ su questo punto che si invoca il segreto di stato. Tutto questo significa che in nome della difesa del fortino europeo dall’assalto degli immigrati è lecito calpestare i più elementari diritti alla vita, alla tutela dei minori, che atti riprovevoli come la tortura o le sevizie sessuali nei confronti dei minori, se compiute da un generale libico nei confronti di individui africani innocenti debbono essere occultati, e addirittura si usa questa vicenda, con l’ausilio di una massiccia propaganda di stampa per compiere un attacco frontale alla magistratura con l’appoggio di quella parte dell’opinione pubblica che, impaurita dalla crisi, ha il terrore per l’arrivo di immigrati dall’Africa. Da questo punto di vista il fatto che in questa vicenda non ci sia stata una sollevazione dell’opinione pubblica nei confronti del governo e che, anche da una parte dell’opposizione, la questione sia stata relegata ad un problema formale la dice lunga sull’involuzione autoritaria e sul razzismo strisciante che attraversa subdolamente larghissime fette dell’opinione pubblica, degli apparati di stato e, soprattutto, di una parte consistente della stampa italiana. Non è un caso che, proprio in questo settore, tanto più le contraddizioni e le opacità del caso venivano sempre più alla superfice, vi siano state polemiche e critiche verso l’eccessivo grado di servilismo e meschinità verso quei settori dell’informazione che, senza un minimo di riflessione, hanno abbracciato la campagna diffamatoria verso la magistratura ingaggiata dal governo. Nei giorni immediatamente successivi all’accusa rivolta dal primo ministro alla magistratura si è aperta la solita campagna combinata di giornalisti e media contro la politicizzazione della magistratura che accettava come un dato inoppugnabile ed una verità incontrovertibile l’opinione personale del governo per cui l’iscrizione nel registro degli indagati dei quattro ministri fosse volontaria e non obbligatoria. Spostare l’attenzione su una questione secondaria significa occultare il dato di fondo, ovvero che un presunto torturatore di individui inermi, financo bambini, deve rimanere impunito, quindi che i diritti fondamentali alla vita e alla libertà personale non possono valere per gli uomini che emigrano. Ragionare, riflettere e rispondere politicamente sul tema dell’immigrazione è la chiave per contrastare questo drammatico processo d’imbarbarimento che sta attraversando la società italiana ed europea.

08/02/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.


Credits: https://partitodemocratico.it/tutte-le-bugie-di-giorgia-meloni-sul-caso-almasri/

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