Legambiente chiede un confronto alla Regione per discutere sulla futura strategia dell’acqua in Puglia

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La vicenda del dissalatore sul fiume Tara sta riportando alla ribalta un tema che tutti i cittadini pugliesi conoscono: la mancanza di fonti idriche superficiali nella nostra regione. Il sistema pugliese di approvvigionamento idrico si avvale dell’Invaso di Monte Cotugno, alimentato dal Fiume Sinni, dell’invaso del Pertusillo, alimentato dal Fiume Agri, in Basilicata, dell’invaso di Occhito, alimentato dal Fiume Fortore, a metà tra il Molise e la Puglia, dell’invaso del Locone, in Puglia, alimentato dal Torrente Locone. A questi invasi si aggiungono le Sorgenti di Caposele e di Cassano Irpino. Inoltre, in misura del 24% dell’approvvigionamento totale, Acquedotto Pugliese gestisce il sistema pozzi, distribuito prevalentemente nelle province di Lecce, Bari e Taranto.

In questo scenario, a dicembre 2024, Aqp segnalava una riduzione pari al 62% di disponibilità idrica rapportata alla media storica. Infatti, il primo effetto della crisi climatica, riguarda l’innalzamento delle temperature e l’incostanza delle precipitazioni. Il 2024 è stato l’anno più caldo e siccitoso di sempre e secondo l’indice SPEI alcune zone della nostra regione (in particolar modo la Capitanata e la provincia di Taranto) si trovano in una situazione di siccità estrema.

Inoltre, i limiti infrastrutturali e la conseguente ridotta capacità d’invaso delle dighe, provocano la perdita di circa 300 milioni di metri cubi recuperabili dai tre principali invasi: Monte Cotugno, Pertusillo e Locone. Considerando che 200 milioni di metri cubi è un quantitativo sufficiente a dare acqua potabile a tutti gli abitanti della Puglia. Peraltro, i lavori necessari a risolvere il problema sono già finanziati e attesi da anni.

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La strategia introdotta dall’Autorità idrica pugliese (AIP) per gestire questa emergenza è raccontata nel piano d’ambito 2020-2045 che ha come macro obiettivo quello di rendere più autonoma la nostra regione per l’approvvigionamento idrico.

A tal fine sono fondamentali sia il risanamento della rete di distribuzione (oggi le perdite si attestano sul 43%) sia l’attivazione su tutti i depuratori del sistema per il riuso delle acque reflue, compresi quelli che attualmente gettano in mare questa risorsa preziosa. Misure fondamentali che devono integrarsi anche con una forte rivisitazione degli usi e del consumo di acqua, a partire dal settore agricolo che da solo assorbe oltre i 2/3 della disponibilità idrica totale, e oggi si trova in forte difficoltà, e dagli usi civili, soprattutto nelle grandi città e nelle località a forte flusso turistico, e industriali. Senza trascurare infine misure importanti e innovative di adattamento e recupero della risorsa idrica, quali ad esempio i sistemi di ricarica controllata delle falde e il recupero e la creazione di corpi idrici superficiali a evoluzione naturale. Non ultimo occorre un sistema di controllo e intervento sui prelievi abusivi della risorsa.

Nella strategia proposta da AIP si ritorna a parlare però anche del sistema di dissalazione per integrare il sistema delle interconnessioni della rete idrica pugliese.

La posizione di Legambiente sui dissalatori è critica, dal momento che rappresentano sistemi industriali altamente energivori e, laddove il sistema di approvvigionamento energetico sia collegato alla rete elettrica che utilizza fonti fossili, questo comporta una produzione di CO2 difficilmente compensabile. Inoltre, quando insistono su tratti idrici delicati dal punto di vista ambientale (come, per esempio, il fiume Tara) il rischio che creino disarmonie sull’ecosistema esistente è concreto. Per questo riteniamo che la soluzione del dissalatore rappresenti l’ultima ratio per l’approvvigionamento idrico, ad esempio in territori, come le piccole isole, dove le alternative o non ci sono o risultano ancora più impattanti. In ogni caso, ad evitare incrementi nelle emissioni di CO2 responsabili della crisi climatica, riteniamo indispensabile che gli stessi vengano alimentati al 100% con fonti rinnovabili con impegni che devono trovare riscontro in atti formali, che precedano la conclusione degli iter autorizzativi.

Oggi il progetto più avanzato nell’iter autorizzativo è quello di Taranto.

Le criticità riguardo il progetto che insiste sul fiume Tara sono diverse, dal tema energetico (non c’è riscontro negli atti dell’iter autorizzativo di un approvvigionamento al 100% da fonti rinnovabili) fino ai forti impatti che l’impianto andrebbe a creare sul corso d’acqua, per il quale va conseguito uno stato delle acque “Buono” secondo la Direttiva 2000/60/CE, come evidenziato dalle Osservazioni depositate dall’associazione.

Inoltre, in esso non si è adeguatamente considerato il nodo costituito dal prelievo dal Tara da parte di Acque del Sud di risorse idriche per l’Acciaieria, che peraltro, nelle condizioni attuali, con il livello minimo di deflusso stabilito in Conferenza dei Servizi, porterebbe di fatto ad azzerare la produzione di acqua potabile da parte del dissalatore in coincidenza con le emergenze idriche più critiche, in cui la portata del Tara scende ad 1,5 m3/s.

Due punti sono importanti da segnalare in questa sede, in relazione ai diversi approfondimenti che l’associazione ha presentato in questi anni. Il primo è la segnalazione del diritto contrattualmente previsto per ILVA ieri e, quindi, per Acciaierie d’Italia in AS oggi, di ricevere acqua dal sistema Sinni in caso di indisponibilità o di riduzione dei prelievi di acqua dal Tara a fini industriali. Il secondo è che l’Autorizzazione Integrata Ambientale del 2011 per l’ex Ilva conteneva la prescrizione che venissero utilizzati, per far fronte alle necessità idriche dell’impianto siderurgico, i reflui affinati del depuratore Gennarini. Una prescrizione rimasta lettera morta. Legambiente ritiene inconcepibile che non si sia proceduto a svincolare il Tara dalla servitù del prelievo industriale obbligando l’azienda siderurgica a rifornirsi dalle acque depurate degli impianti di Bellavista e di Gennarini e, pertanto, chiede che tale obbligo sia previsto nella procedura di vendita in essere.

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Sarebbe paradossale che per ricavare acqua dissalata dal Tara, si corra il serio rischio di dover fornire acqua buona del Sinni, che non ha bisogno di trattamenti, ad Acciaierie d’Italia. Va riesaminato urgentemente il fabbisogno idrico dell’azienda e le conseguenti autorizzazioni ai prelievi. Appare in ogni caso prioritaria la necessità di acquisire con urgenza da Acciaierie d’Italia in AS la rinuncia alla clausola di compensazione.

In ultimo, per aumentare la resilienza idrica della rete salentina, è indispensabile la piena attivazione dell’invaso Pappadai, che avrebbe la capacità di accogliere gli eccessi di precipitazione raccolti dall’invaso Cotugno, per un successivo utilizzo differito.

Per questo, e per esaminare le altre gravi criticità, a partire dalle carenze della Valutazione Ambientale Strategica relativa al Piano d’Ambito 2020-2045 – in cui non sono valutati elementi primari, come gli impatti energetici e quelli a livello di biodiversità e si è utilizzata una metodologia inadeguata alla complessità del tema, Legambiente sul dissalatore del Tara chiede che venga sospeso l’iter autorizzativo relativo al progetto esollecita un confronto urgente al Presidente e all’Assessore all’Ambiente della Regione Puglia per verificare come siano rivalutabili in atti formali le criticità che non hanno trovato riscontro nel giudizio di compatibilità ambientale.

Al contempo riteniamo urgente un confronto pubblico con tutti i oggetti interessati, a partire dalla Regione, all’ Autorità idrica pugliese, Aqp, i consorzi di bonifica e le associazioni degli agricoltori e degli industriali per discutere in modo strategico e sinergico della gestione della risorsa acqua in Puglia.



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