Una Doc Lombardia per rilanciare l’Oltrepò ed altre regioni vinicole

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L’Oltrepò pavese guarda al futuro con ambizione e prepara il terreno per una vera e propria rivoluzione, che potrebbe stravolgere gli equilibri geopolitici del vino nel nord Italia. Dopo aver contribuito in maniera determinante a mettere da parte gli imbottigliatori, sempre più isolati dal Consorzio, una delle maggiori cooperative lombarde, Terre d’Oltrepò, sta vagliando la possibilità di promuovere l’istituzione di una Doc Lombardia del vino. A parlarne con Winemag è Umberto Callegari, a margine di un’intervista sullo stato di salute della cooperativa, che opera negli stabilimenti di Broni, Casteggio e Santa Maria della Versa, in provincia di Pavia.

In seguito all’harakiri di diverse aziende imbottigliatrici, il ruolo di Terre di d’Oltrepò nel Consorzio guidato dalla vignaiola Francesca Seralvo e dal nuovo direttore Riccardo Binda – giunto a fine estate 2024 da Bolgheri – è divenuto ancora più centrale. Ma non basta. Il cuore del piano industriale di rilancio della cooperativa, in difficoltà per la scarsità dei conferimenti di uve della vendemmia 2024, c’è la spinta sul fronte dei servizi conto terzi.

DOC LOMBARDIA «PER SPINGERE IL VINO SUI MERCATI INTERNAZIONALI»

Una Doc Lombardia potrebbe ulteriormente spingere alcune cantine ad affidare a Terre d’Oltrepò l’imbottigliamento delle proprie linee di spumanti, così come vini fermi, bianchi e rossi, senza dimenticare la nuova frontiera dei dealcolati. «Per mettere gli spumanti La Versa accanto a Berlucchi, Cà del Bosco e Ferrari, in termini di prestigio e riconoscibilità, ci vogliono 25 anni. Sarebbe bellissimo, ma richiede, tra le altre cose, un investimento di marketing importante. Un’altra cosa è prendere le piccole, medie, grandi aziende che, magari con un progetto lombardo, vogliono fare metodo classico in Lombardia, e prepararlo qui per loro. La nostra cooperativa potrebbe così fungere da centro di pressatura, imbottigliamento e lavorazione, come succede in Champagne da 150 anni, diventando un polo di servizio».

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L’istituzione di una Doc Lombardia, sempre secondo il manager di Terre d’Oltrepò, «potrebbe creare una leva operativa, sia per noi sia per altre aziende lombarde, con scambi interconsortili basati su brand locali che, ovviamente, non interferiscono con le Doc o Docg già esistenti». Lo stesso vale per l’Oltrepò. «Se tu sei un’azienda che ha un grande brand e una grande reputazione, che vende tutto, ma che ha costi alti – evidenzia Callegari – si pone un problema. Centri condivisi che possano abbassare il costo medio della produzione e avere effetto positivo sulla marginalità delle aziende e sui loro fatturati non è solo la strada giusta. Ma anche quella necessaria e fondamentale. Sperando che questo sia sufficiente».

VINO, VERSO UNA DOC LOMBARDIA? I PROTAGONISTI

Suggestione o ipotesi concreta, quella di una Doc Lombardia? «Stiamo cercando di lavorarci – replica il Ceo – ma non solo noi, perché ovviamente una Doc Lombardia non può girare solo attorno a Terre d’Oltrepò. Se ci sarà una Doc Lombardia ci sarà una zona vocata i bianchi che produrrà bianchi: se dovessi decidere io, immaginerei per esempio la zona del Garda. La parte di Metodo classico, che coinvolgerebbe di più la Franciacorta e l’Oltrepò. Per il rosso: se è il Pinot Nero, avrebbe senso farlo in Oltrepò».

«Il punto – continua – è che ci sono tanti piccoli Consorzi che lavorano benissimo, all’interno di Ascovilo per esempio, ma che sono molto piccoli. Ma portarli in giro per la promozione non è semplice, perché un conto è la forza di una Doc da 10 mila bottiglie, un’altra sarebbe quella di una Doc regionale. Lo Champagne fa 350 milioni di bottiglie e sono bravissimi. L’estero conosce Champagne e Prosecco. In mezzo c’è un buco che potrebbe essere una grande opportunità per questa tipologia. Il sistema italiano sta perdendo tempo e rischiando che qualcun altro si inserisca in quel segmento».

umberto callegari intervista winemag davide bortone ceo cooperativa terre d oltrepò spa

Dalla Doc Lombardia spostiamoci in Oltrepò pavese, dove si mette in discussione la legittimità della Spa Terre d’Oltrepò, nata sul finire del 2024 sul modello operativo già visto con Nosio Spa di Mezzacorona. Cosa risponde a chi avanza dubbi?

L’operazione Spa è pienamente legittima. È stata deliberata dal consiglio di amministrazione senza voti contrari, con l’astensione del presidente, e successivamente ratificata in assemblea da circa l’80% dei soci con l’approvazione del bilancio. Non comprendo come si possa mettere in dubbio la legittimità di un processo approvato non solo dagli organi interni, ma anche da figure indipendenti come sindaci, revisori e un perito del Tribunale di Milano, che ha giurato la perizia di conferimento, garantendo che il valore rappresentasse appieno gli interessi dei soci.

Anche il Notaio, figura indipendente, ha supervisionato e garantito la correttezza dell’intera procedura. L’obiettivo dichiarato, condiviso e approvato, è stato proprio quello di dare alla cooperativa una governance strutturata, un’esigenza che non riguarda solo Terre d’Oltrepò, ma gran parte delle cooperative vinicole italiane. Si tratta di un’operazione necessaria per difendere e valorizzare il patrimonio dei soci, attraverso un modello gestionale moderno e attrattivo per investitori.

Ci sono stati momenti di tensione e lei è stato accusato di episodi di violenza, quantomeno verbale. 

Abbiamo già respinto categoricamente queste accuse, supportati dalle firme dei dipendenti e delle RSU. Inoltre, è importante sottolineare che queste accuse provengono esclusivamente dalla CISL, che sembra più interessata a creare tensioni personali con me che a occuparsi del reale benessere dei lavoratori. Con la UILA, invece, i rapporti sono sempre stati costruttivi e cordiali. Mi lascia perplesso il tentativo di personalizzare il rilancio di un’azienda in difficoltà, tentando di far passare un progetto strutturale e condiviso come una questione di simpatia o antipatia personale.

Questo approccio irrazionale strumentalizza e banalizza il lavoro di tanti professionisti coinvolti nel cambiamento. I fatti rimangono fatti. La costituzione della Spa, con un consiglio di amministrazione collegiale e professionisti di altissimo livello, parla da sé. Per la prima volta, Terre può contare su un team qualificato che ha scelto di assumersi la responsabilità legale e operativa per il benessere dell’azienda e dei soci. Questo non dovrebbe suscitare diffidenza, ma fiducia.

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L’impressione è che diversi soci della cooperativa Terre d’Oltrepò contestino l’operazione Spa perché “calata dall’alto”, senza la necessaria illustrazione condivisione del progetto, pur demandato al Cda.

Non condivido questa interpretazione. Il dialogo c’è stato ed è stato strutturato in tutte le sedi opportune. Il progetto S.p.A. è nato da un’esigenza chiara, espressa dal Cda, che mi ha chiesto di rimanere per portare avanti il piano di turnaround di un’azienda ereditata al collasso. Ricordo che la costituzione della Spa è stata approvata dal Cda senza voti contrari, con l’astensione del presidente, e successivamente ratificata in assemblea da circa l’80% dei soci in sede di approvazione del bilancio. In quell’occasione, si è discusso a lungo della struttura e del progetto, garantendo un dialogo trasparente e costruttivo. Inoltre, la presenza di un consiglio di amministrazione collegiale, composto da professionisti di assoluta esperienza, smentisce qualsiasi accusa di personalismo. È un sistema trasparente e orientato a garantire il bene comune.

La Spa però le consente di operare, in accordo con il Cda, in maniera più agile rispetto all’assemblea della cooperativa. Per questo, tra le accuse che le vengono rivolte, c’è anche quella di aver ulteriormente accentrato “potere” attorno alla sua figura.

La Spa non è stata pensata per favorire la mia figura, ma per creare un modello di governance più adatto a gestire le complessità del mercato odierno. La scelta di un organo collegiale con responsabilità legali e operative è la prova che il rilancio dell’azienda non è centrato su una singola persona, ma su una visione strutturata e condivisa. Questo sistema rafforza l’indipendenza e la solidità dell’azienda.  

Con la Spa, Terre d’Oltrepò si apre alla possibilità di attrarre investimenti esterni. È un’ipotesi concreta?

Sì, Terre d’Oltrepò, attraverso la Spa, potrà attrarre investitori strategici. Questo è stato confermato da esperti internazionali e manager di prestigiose università come INSEAD e LUISS. L’obiettivo è portare risorse per rafforzare la filiera e rendere l’Oltrepò un punto di riferimento per il settore vinicolo. Avere una struttura moderna e credibile è un prerequisito per ottenere la fiducia degli investitori.

Nel frattempo, mi risulta che siano sorte alcune difficoltà sul fronte della partnership con Mack & Schühle Italia Spa, per la fornitura di 9-12 milioni di bottiglie. Un accordo che difficilmente Terre d’Oltrepò riuscirà a rispettare. Conferma?

È uno degli accordi firmati per modificare il modello di business dell’azienda. Come dichiarato sia da me che da Fedele Angelillo, si tratta di un accordo che valorizza la produzione e amplia le opportunità commerciali, sia a livello nazionale che internazionale. L’idea alla base è quella di lasciare che sia il mercato a indirizzare la produzione, mantenendo sempre al centro il valore del prodotto e del territorio. Ricordo che la responsabilità di una cooperativa parte dal vigneto e dai soci, e arriva alla sua struttura commerciale, con una visione integrata e sostenibile. Purtroppo, la terribile vendemmia di quest’anno (2024) ha rallentato i nostri comuni piani, ma resta chiara la volontà di proseguire con determinazione in questa direzione, per garantire stabilità e valore ai nostri soci e al territorio.

Spostiamo l’attenzione al segmento della Grande distribuzione italiana. Nei supermercati Esselunga è “comparsa” una referenza, Testarossa Principio 2008, dal costo davvero importante (350 euro), che supera anche lo Champagne. Può spiegare l’operazione e definire l’andamento commerciale del prodotto?

Il Principio Testarossa 2008 rappresenta un simbolo della qualità assoluta del nostro territorio e un esempio di ciò che l’Oltrepò può esprimere ai massimi livelli. La sua presenza sugli scaffali di Esselunga a 350 euro non è solo un traguardo, ma la dimostrazione del valore aggiunto che possiamo creare attraverso una visione strategica e un posizionamento chiaro. Le politiche di pricing riflettono la qualità straordinaria del prodotto e il target luxury a cui si rivolge. La Versa è l’unica azienda in Italia, e una delle pochissime in Europa, a vantare una collezione di Jeroboam di Metodo Classico di oltre 40 anni.

Per creare la linea Principio, utilizziamo una liqueur speciale prodotta con uno Jeroboam del 1986, che aggiunge unicità e valore al prodotto. Si tratta di un prodotto di nicchia, realizzato in pochissime centinaia di bottiglie e riservato a un segmento esclusivo, come dimostrato dal successo ottenuto recentemente nel prestigioso membership club londinese dedicato al vino, 67 Pall Mall. Venderlo a poche decine di euro sarebbe come vendere una Ferrari a poche decine di migliaia di euro: un errore sotto ogni punto di vista, che sminuirebbe la sua unicità e il valore intrinseco di un prodotto creato per rappresentare l’eccellenza.

Altra nota dolente è quella degli impianti di depurazione: si parla di decreti ingiuntivi. Cosa succede?

Succede che dal 2015 non avevamo le AUA (Autorizzazione unica ambientale, ndr) per scaricare. Le abbiamo quindi rifatte, insieme a certificazioni legate agli imbottigliamenti ed altre autorizzazioni che erano state lasciate scadere. Tra l’altro si poneva un problema con i limiti degli scarichi, in quanto le AUA precedenti erano “domestiche”: chi farebbe mai AUA domestiche per una cantina? Allo scopo di aumentare la capitalizzazione delle cantine, ci sarà un sistema di microfiltrazione che, a tendere, renderà il riutilizzo dell’acqua circolare, abbassando i costi. Una scelta utile in termini di sostenibilità. Fortunatamente abbiamo risolto la questione senza conseguenze legali.

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Il ruolo di Terre d’Oltrepò nel Consorzio Oltrepò è sempre più centrale. E così, indirettamente o direttamente, lo è la sua figura. Una grande responsabilità, ora che gli imbottigliatori sembrano quasi fuorigioco.

Anche in questo caso, la rinascita del Consorzio si basa sull’attrazione di competenze di altissimo livello. Partendo dalla nuova presidente, Francesca Seralvo, una donna straordinariamente competente e forte, che rappresenta un’eccellenza italiana. La sua esperienza in Mazzolino, che è una realtà da Fortune 100, e il riconoscimento come “Personaggio dell’Anno” di Ais Lombardia nel 2024 dimostrano quanto siamo fortunati ad avere una figura del suo calibro alla guida del Consorzio. A questo si aggiunge il lavoro di Riccardo Binda, il direttore, che ritengo essere uno dei migliori in Italia.

Condivide con noi la passione per questa missione ambiziosa e sta contribuendo in modo significativo al rilancio del territorio e alla crescita qualitativa della denominazione. Collaboriamo attivamente per garantire coesione tra i produttori, lavorando fianco a fianco con Regione Lombardia per sostenere il rilancio del territorio. È importante sottolineare che, anche qui, spesso si tenta di svilire il lavoro di squadra preferendo una visione personalizzata o polarizzata. Ma la realtà è diversa: stiamo lavorando come un team, uniti da una missione comune, per riportare l’Oltrepò al posto che merita nel panorama vinicolo nazionale e internazionale.

Che futuro vede per l’Oltrepò pavese?

L’Oltrepò deve puntare su denominazioni che uniscano tradizione e innovazione. Pinot nero e Metodo Classico sono i pilastri, ma è fondamentale investire anche su vitigni autoctoni per preservare e valorizzare la nostra identità. Il futuro risiede nella qualità, nella sostenibilità e nell’integrazione tra filiera produttiva e mercato. Il cambiamento rappresenta un problema solo per chi tenta di opporvisi, mentre per gli altri è una fonte continua di opportunità. Così come la Francia ha saputo evolversi e continua a farlo, dobbiamo imparare da chi ha avuto successo e applicare modelli economici e produttivi più sostenibili e remunerativi. Questo significa evitare speculazioni di breve periodo e focalizzarci su strategie di medio-lungo termine che garantiscano valore e solidità sia per i produttori che per il territorio.

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