I dazi di Trump e l’Italia, gli effetti sulla riduzione delle esportazioni

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Roma, 6 febbraio 2025 – I dazi annunciati e minacciati da Donald Trump per l’Europa e per l’Italia rappresentano un rischio concreto per le maggiori economie del Vecchio Continente. Guardando al nostro Paese, possiamo mettere in fila i numeri sull’impatto ipotizzati da Svimez.

L’export in Usa dell’Italia

Gli Usa sono tra i principali partner commerciali dell’Italia, con un mercato di sbocco che assorbe oltre il 10% delle esportazioni totali, 67 miliardi nel 2023. Meccanica, Farmaceutica e Agroalimentare sono le merci maggiormente esportate, rappresentando oltre il 40% dell’export italiano verso gli Stati Uniti. Rilevante anche il valore dei mezzi di trasporto prodotti in Italia per il mercato statunitense, dove l’export supera i 10 miliardi di euro: 5,7 per l’Automotive e il 5,8 per i restanti comparti (Aerospazio, Nautica, Ferroviario). Compresi tra i 4 e i 5 miliardi il valore dell’export del settore Moda, Mobilio, Elettronica&Informatica; tra i 2-3 mld l’export di Chimica ed Energetici. Complessivamente, questi prodotti assorbono il 95% delle esportazioni totali verso gli Usa.

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Il presidente Usa Donald Trump

Le previsioni di Svimez

Considerando la composizione per settore e macro-area di provenienza dell’export italiano verso gli Usa la Svimez propone una stima dei potenziali effetti sulla riduzione delle esportazioni italiane destinate al mercato statunitense derivanti dall’introduzione dei dazi.

Sono considerati due differenti scenari: 1) dazi per tutti i Paesi al 10% e 2) dazi per tutti i Paesi al 20%. Il risultato è stato disaggregato sia per settore sia per circoscrizione. A livello settoriale, l’intensità dell’impatto varia a seconda della minore o maggiore elasticità della domanda rispetto all’aumento del prezzo dei vari prodotti. Per i beni indifferenziati, per i quali una piccola variazione di prezzo può determinare una significativa variazione nella domanda in ragione di una maggiore sostituibilità con altri prodotti, gli effetti sulla contrazione delle esportazioni sono più evidenti: è questo il caso dei beni agroalimentari, farmaceutici e chimici, per i quali, nello scenario 2, la contrazione percentuale delle esportazioni è compresa tra -13,5% e -16,4%. Per i beni meno sostituibili, nel cui commercio e produzione l’Italia si colloca su segmenti di mercato a maggiore valore aggiunto come nel caso del Made in Italy (Moda e Mobilio), si registra la minore variazione percentuale (-2,6% nello scenario 2). Per questi casi, le preferenze dei consumatori risultano meno suscettibili alle variazioni di prezzo, con conseguenze meno evidenti anche sui flussi commerciali. In una posizione intermedia si collocano le variazioni percentuali di settori tipicamente manifatturieri – meccanica e mezzi di trasporto – che potrebbero subire contrazioni in termini di export intorno al -10%.

In base alle stime di Svimez, l’export italiano verso gli Usa si ridurrebbe del 4,3% nel caso di dazi orizzontali al 10%, con una contrazione in valore di 2,9 miliardi di export, cifra che salirebbe a 5,8 miliardi di euro (-8,6%) nel caso di un dazio generalizzato al 20%.

Gli effetti differenziati a livello settoriale – in ragione di una differente elasticità della domanda al prezzo dei beni – determinano impatti territoriali differenti in base alla specializzazione produttiva delle esportazioni. La composizione settoriale dell’export del Mezzogiorno verso gli Usa si concentra su Agroalimentare e Automotive, particolarmente esposti agli effetti dell’introduzione dei dazi. Per questi motivi, il Mezzogiorno potrebbe essere l’area del Paese più esposta alla minaccia Trump: la contrazione complessiva dell’export verso gli Usa appare infatti più accentuata al Sud sia nello scenario 1 (-4,2% Centro-Nord; -4,7 Mezzogiorno) che nello scenario 2 (-8,5% Centro-Nord; -9,3% Mezzogiorno).

L’impatto su Pil e occupazione

Questo potenziale shock negativo di domanda – la contrazione delle esportazioni verso gli Usa – determinerebbe a cascata effetti misurabili anche su Pil e occupazione, sottraendo produzione e lavoro all’economia nazionale.

Secondo le stime di Svimez, nell’ipotesi in cui venissero applicati dazi ai prodotti importati dall’Italia (e dagli altri Paesi) al 10%, il PIL italiano subirebbe una contrazione di 1,9 miliardi (0,1 % del PIL): -1,6 miliardi al Centro-Nord e -257 mln al Mezzogiorno. In termini occupazionali, l’effetto misurato in unità di lavoro a tempo pieno sarebbe di circa 27mila posti di lavoro in meno, principalmente concentrati nelle regioni del Centro e del Nord (-23mila).

Il Sud, dunque, subirebbe un impatto maggiore in termini di contrazione dell’export verso gli Usa, ma più contenuto sul Pil e occupazione, per effetto del minor contributo delle esportazioni al valore aggiunto dell’area.

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L’impatto Trump sull’economia italiana si accentua nello scenario 2. In questo caso, la perdita di PIL raggiungerebbe i 3,8 miliardi, 3,2 miliardi al Centro-Nord e oltre -0,5 miliardi al Sud e i posti di lavori a rischio supererebbero i 54mila: -46mila nelle regioni centro-settentrionali e -7mila nel Mezzogiorno. 

Nell’ipotesi in cui la strategia commerciale di Trump dovesse orientarsi verso misure protezionistiche estreme, introducendo dazi al 100% per l’Automotive importato, le conseguenze per il Paese, e per il Mezzogiorno in particolare, sarebbero molto più gravi di quanto emerso negli scenari 1 e 2.  In uno scenario che considera un dazio al 100% per le auto, mantenendo al 20% i dazi per i restanti beni, la contrazione delle esportazioni passerebbe a livello nazionale a -8 miliardi (-12%), con un crollo dell’export di auto di -2,9 miliardi, riduzione concentrata per oltre un terzo nelle regioni meridionali.  Sotto queste ipotesi, l’impatto negativo salirebbe a 0,3 punti di Pil (-5,4 miliardi): -4,4 miliardi al Centro-Nord e -1 miliardi al Sud. Il crollo dell’export metterebbe a rischio circa 76mila, di cui circa 14 mila occupati in una regione del Sud.

Gli effetti dei dazi e le contromosse

In conclusione, se alle dichiarazioni di Trump dovessero seguire i fatti, questi metterebbero a rischio gli equilibri commerciali internazionali, con effetti non trascurabili anche sull’economia italiana e dei suoi territori. La partnership commerciale Italia-Usa è un nodo centrale nelle relazioni internazionali del nostro Paese e una deriva protezionistica oltreoceano può seriamente compromettere la tenuta dei settori più esposti, con potenziali ricadute occupazionali negative.

Al di là della quantificazione degli effetti su export, Pil, e occupazione proposta in questo esercizio, le stime presentate rilevano almeno tre criticità nella strategia di internazionalizzazione del Paese.

Da un lato, l’Italia presenta relazioni internazionali poco diversificate, commerciando con un numero di Paesi relativamente ristretto: situazione che non consente di diversificare il rischio derivante da misure protezionistiche nell’eventualità in cui uno di questi decida di introdurle o inasprirle. In secondo luogo, emerge un tema di specializzazione settoriale che inevitabilmente incrocia la dimensione territoriale del sistema produttivo italiano. Concentrando il commercio estero su beni ad alta sostituibilità – alta elasticità alle variazioni di prezzo – si espone in misura maggiore la tenuta dell’export italiano, con effetti di spiazzamento più dirompenti su produzione e lavoro. Lo studio evidenzia, inoltre, come beni a maggior valore aggiunto (es. Made in Italy) siano meno esposti alle oscillazioni di domanda indotte dalle misure protezionistiche. E che quindi investire per rafforzare questi settori rappresenta un’azione concreta per preservare la tenuta complessiva dell’economia. Infine, la concentrazione territoriale dei settori più vulnerabili all’introduzione e all’inasprimento dei dazi determina effetti particolarmente rilevanti per il tessuto industriale meridionale.

In uno scenario caratterizzato dal rischio di crescenti tensioni commerciali a livello globale, appare dunque sempre più necessario definire strategie di politica industriale che sostengano la diversificazione della composizione settoriale del tessuto produttivo e il rafforzamento e la diffusione dei processi di internazionalizzazione delle imprese, soprattutto nelle aree a maggior potenzialità di crescita del Mezzogiorno.

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