Elmasry, le versioni parallele e opposte dei due ministri

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Il tono supponente da docente di procedura penale chiamato a spiegare l’ovvio all’ignaro volgo potrebbe far pensare il contrario, ma l’informativa fatta ieri da Carlo Nordio e Matteo Piantedosi prima alla Camera e poi al Senato contiene una notevole serie di inesattezze, interpretazioni tendenziose e vuoti temporali solo in parte coperta dagli applausi dei parlamentari di maggioranza. E così il momento della verità sul caso Elmasry si è rivelato essere l’ennesimo giorno della marmotta: di fatto non è stato detto nulla di nuovo rispetto alle ricostruzioni delle ultime due settimane. Anzi, casomai sono aumentati i dubbi sul comportamento tenuto dal governo nelle 50 ore che il capo della polizia giudiziaria libica è stato detenuto in Italia. La contraddizione più lampante risiede nel giudizio diametralmente opposto che i due ministri intervenuti al posto di Meloni hanno dato del mandato d’arresto della Corte penale internazionale. Per il ministro della Giustizia si trattava di un atto «connotato di imprecisioni, omissioni, discrepanze e conclusioni contraddittorie». Per il ministro dell’Interno invece era abbastanza per ritenere Elmasry un soggetto talmente pericoloso per «la sicurezza dei cittadini italiani e degli interessi del nostro paese all’estero» da dover essere espulso e rimpatriato su un volo di Stato nel minor tempo possibile.

PER NORDIO, comunque, quanto scritto dall’Aja, e arrivato in via Arenula alle 13 e 57 di lunedì 20 gennaio («In lingua inglese con svariati allegati in lingua araba»), sarebbe connotato da «salti logici» tali da rendere «viziato l’atto». Peccato che la Corte d’appello di Roma abbia scarcerato Elmasry senza far alcun cenno a questi «vizi». È una questione di date: secondo il ministro la Cpi non è riuscita a chiarire se i reati che contesta sono stati compiuti dal 2011 (quando è stato aperto in dossier su Tripoli) o dal 2015. In effetti, il primo «warrant of arrest» stilato all’Aja il 18 gennaio conteneva meno informazioni rispetto all’integrazione fatta il 24 dello stesso mese. Per Nordio, curiosamente, si tratterebbe di due ordinanze diverse e in contraddizione tra loro, anche se già la prima, Statuto di Roma alla mano, aveva valore esecutivo. Da sottolineare, in ogni caso, che il pur sollecitato intervento del ministero della Giustizia non è mai stato fornito ai giudici italiani. Su questo lungo silenzio, peraltro, il Guardasigilli non ha detto neanche una parola. Zoppicanti anche i riferimenti fatti alla legge 237 del 2012, quella che regola i rapporti tra l’Italia e la Cpi e che non fa in alcun modo menzione al fatto che il governo debba esprimersi sulla fondatezza di un mandato di cattura. Nordio ha trattato il punto con una battuta («Il ministro non è semplicemente un organo di transito delle richieste»). Qui arriva l’ammissione esplicita che Elmasry era un problema politico. E infatti c’è anche l’ammissione di un avvenuto confronto «con altre istituzioni o con altri organi dello Stato». Di chi si parla? Tutti gli indizi portano a palazzo Chigi. La premier Meloni, assente del tutto dal dibattito parlamentare, ha affidato le sue riflessioni ai social network e a Maurizio Porro, ignorando bellamente ogni altra sede, quindi non possiamo saperlo.

MA LA PARTE dell’informativa più problematica è quella relativa ai tempi della vicenda. Nordio ha ammesso che il suo ministero ha ricevuto una prima segnalazione alle 12 e 37 di domenica 19 gennaio tramite «un’informativa priva del procedimento». L’arresto del boia libico era stato effettuato intorno alle 3 di notte dalla Digos di Torino che poi lo hanno formalizzato in questura alle 9 e 30. Il giorno successivo, alle 12 e 40, la procura generale della Corte d’appello di Roma ha trasmesso l’intero provvedimento, cosa che è stata fatta anche alle 13 e 57 dal magistrato di collegamento dell’ambasciata italiana dell’Aja. Troppo poco tempo per valutare? Forse sì o forse no, probabilmente qualche intoppo e qualche sottovalutazione ci sono stati, ma non si capisce cosa c’entrerebbero con questo i giudici della Cpi. Ad ogni modo, martedì 22 gennaio, poco prima delle 16, il ministero della Giustizia ha diffuso un comunicato stampa in cui si avvisavano i giornalisti che era in corso un’attenta valutazione del «complesso carteggio». Il dettaglio – a conti fatti fondamentale – non è stato spiegato, così come non risulta ancora chiaro perché a quell’ora, mentre la Corte d’appello era già sul punto di decidere sulla scarcerazione di Elmary, l’aereo che in serata lo avrebbe riportato a Tripoli era già in movimento. La giustificazione fornita da Piantedosi sul punto («Iniziativa a carattere preventivo, e quindi aperte a ogni possibile scenario, ivi compreso l’eventuale trasferimento in altro luogo di detenzione») manca della parte in cui si dice quanti degli espulsi «per motivi di sicurezza» (190 dall’insediamento del governo) siano stati rimandati a casa con un volo di Stato.

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NELLA SUA ricostruzione – sembrata a tratti un antipasto di quella che prima o poi sarà la difesa davanti al tribunale dei ministri chiamato in causa per lui, Meloni, Piantedosi e Mantovano dal procuratore di Roma Francesco Lo Voi – Nordio ha messo un accento particolare sull’opinione dissenziente espresso dalla messicana Socorro Flores Liera. L’obiezione rispetto alle altre due colleghe della Corte che hanno autorizzato l’arresto di Elmasry, però, non riguarda in alcun modo l’entità dei fatti che vengono contestati, ma l’opportunità di tenere aperto il dossier libico dal 2011. Questo perché, secondo lei, la situazione nel paese da allora sarebbe cambiata a tal punto da mettere in discussione la legittimità della giurisdizione dell’Aja. Giova ricordare che per gli stessi motivi Flores Liera aveva presentato una «dissenting opinion» anche rispetto ad altri sei mandati d’arresto emessi dalla Cpi verso altrettanti torturatori libici lo scorso ottobre.



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