«Alcuni giorni fa ho incontrato una nonna, Rima, che ha perso la figlia durante la guerra e ora si prende cura di sua nipote di 10 anni, Lelean. Si sono riunite la scorsa settimana, dopo che la piccola era rimasta bloccata nel sud della Striscia per mesi e mesi durante i combattimenti. Aveva le lacrime agli occhi parlando di quel ricongiungimento, di quanto amasse la nipote e della determinazione a non separarsene mai più nonostante la grande paura di perderla perché Lelean è denutrita». Oltre ai segni della fame, «molti bambini indossano ancora vestiti estivi o camminano addirittura a piedi nudi in un momento in cui le temperature si abbassano parecchio, soprattutto di notte». La testimonianza arriva da Gaza, dove attualmente si trova Tess Ingram – responsabile della comunicazione per l’Ufficio regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nordafrica – che ci racconta di condizioni di vita «squallide ovunque, con accesso limitato all’acqua pulita, spazzatura e macerie sparse in tutte le aree in cui vivono le famiglie, fognature a cielo aperto e rifugi che non proteggono dalle intemperie». Insomma, «la miseria e la sofferenza delle famiglie a Gaza sono difficili da descrivere a parole». Interpellata da ‘laRegione’, Ingram comunque ci prova.
Unicef
Tess Ingram
Che tipo di scenario ha trovato a Gaza dopo 15 mesi di conflitto tra Israele e Hamas? Quali sono le condizioni dei bambini?
La distruzione materiale è vastissima. Case, scuole e altre infrastrutture civili sono state ridotte in macerie, l’assistenza sanitaria è decimata e i pochi ospedali ancora aperti sono al collasso. La stragrande maggioranza delle famiglie è stata sfollata dalle proprie case e vive in tende di fortuna o in scuole riadattate come rifugi. I più piccoli sono quelli maggiormente colpiti dal conflitto. Sono stati segnalati almeno 14’500 bambini uccisi e decine di migliaia di altri risultano feriti. Sia questi ultimi che quelli con problemi di salute preesistenti non hanno accesso alle cure di cui hanno bisogno poiché negli ospedali mancano forniture mediche e farmaci. Si stima che sessantamila bambini avranno bisogno di cure per malnutrizione acuta nel 2025. E che almeno 17mila bambini siano non accompagnati o rimasti senza nessuno a occuparsi di loro.
La sofferenza non è solo fisica ma anche psicologica. Da questo punto di vista che danni ha causato la guerra e che conseguenze possono esserci per il futuro dei più piccoli?
I bambini mostrano livelli molto alti di stress a causa dell’esposizione cumulativa a esperienze traumatiche come morte e violenza. Questo, aggravato dalle numerose privazioni e dalla consapevolezza che nessun posto era sicuro, ha fatto sì che rimanessero bloccati in un circolo di esposizione al pericolo e di paura per quindici mesi. Sappiamo che queste condizioni logorano la capacità del corpo di reagire, che rimane in uno stato di stress quasi permanente col rischio anche che lo sviluppo si blocchi. Le profonde cicatrici psicologiche destano grande preoccupazione: immaginate un bambino che, a soli cinque anni, ha assistito a più morte che vita… Come si ricostruisce la speranza di chi ha conosciuto tanta guerra? Molti soffriranno di disagi per tutta la vita, di disturbo da stress post-traumatico e angoscia emotiva che influenzeranno la loro capacità di fidarsi, imparare e contribuire alla ricostruzione delle loro comunità. Il venir meno dell’istruzione è un altro importante fattore di stress per i bambini e le loro famiglie, consapevoli del ruolo essenziale dell’apprendimento e della connessione sociale nel promuovere la speranza in un futuro migliore per tutti. I bambini di Gaza hanno perso la loro infanzia, il loro senso di sicurezza, il loro diritto di essere bambini. Il conflitto ne ha rubato le risate, i sogni e, ad alcuni, anche la capacità di parlare.
Si contano anche diverse migliaia di bambini rimasti soli. In che modo questo può ulteriormente gravare sulla loro esistenza?
In questo contesto di violenza intensa e diffusa molti genitori e parenti sono morti, sono stati ricoverati in ospedale, evacuati in Paesi terzi o sono stati imprigionati. Numerosi tra le decine di migliaia di persone uccise sono genitori o familiari che si prendevano cura dei bambini in modo primario. Unicef stima che nella Striscia di Gaza almeno 17mila bambini siano non accompagnati o separati dai genitori, ciò che li rende ancora più vulnerabili di altri, con rischi reali di abuso e sfruttamento. Questi piccoli crescono con profonde ferite emotive, privi di stabilità e del conforto di una casa amorevole. A Gaza, le famiglie allargate spesso intervengono per prendersi cura dei bambini soli, ma quando tutti devono lottare per sopravvivere, anche un’unica bocca in più da sfamare può mettere a dura prova. Le conseguenze a lungo termine sono terrificanti. Senza un intervento urgente, un’intera generazione rischia di essere persa, fisicamente, mentalmente ed emotivamente.
Il territorio si trova disseminato di macerie e di bombe inesplose, un rischio soprattutto per i più piccoli.
Esatto. Gaza è un ambiente estremamente pericoloso per i bambini che per loro natura sono curiosi. Ovunque si guardi ci sono macerie e detriti mescolati con rifiuti solidi e acqua contaminata dove i più piccoli rovistano sperando di trovare qualcosa che possano mangiare o usare, o semplicemente per giocare. In un ambiente del genere, sono esposti a malattie e possono facilmente ferirsi. E i detriti possono contenere anche altre sostanze pericolose sconosciute, come l’amianto. Inoltre, se vedono qualcosa di insolito tra le macerie è facile che vi si avvicinino, inconsapevoli che potrebbe trattarsi di ordigni inesplosi, ovvero killer silenziosi pronti a trasformare un semplice gesto in tragedia. L’Unicef e i suoi partner stanno lavorando per educare famiglie e bambini su questi pericoli, ma in un luogo dove la sopravvivenza è la priorità, evitare minacce nascoste diventa solo un altro compito impossibile.
Quali sono i principali bisogni della popolazione a breve e medio termine?
Le famiglie hanno bisogno di tutto. A breve termine, in particolare i bambini hanno urgente bisogno di cibo, acqua pulita, cure mediche, rifugio caldo, vestiti e supporto per la salute mentale e psicosociale. Le macerie dovranno essere sgomberate e le infrastrutture ricostruite. Parallelamente, è fondamentale che l’istruzione riprenda. Anche nel bel mezzo della devastazione, l’istruzione offre speranza. Senza di essa, questi bambini affrontano un futuro privo di opportunità, intrappolati nella sofferenza. E poi le scuole non sono solo luoghi di apprendimento, sono anche luoghi di socializzazione e gioco, dove i bambini possono essere bambini, nonché rifugi sicuri. L’aiuto umanitario però può arrivare solo fino a un certo punto. È fondamentale che l’economia e il settore bancario vengano ripristinati, in modo che le famiglie possano accedere alle materie prime di cui hanno bisogno sul mercato. Servono tutte le mani in questo sforzo, dagli operatori umanitari, al settore privato e ai governi del mondo intero.
Tornando all’istruzione, come sarà possibile garantirla in simili condizioni?
Più di 650mila bambini sono stati fuori dalla scuola per oltre un anno e mezzo. Almeno l’88% degli edifici scolastici ha subìto un certo grado di danno. Ora le scuole devono essere ricostruite, gli insegnanti devono essere supportati e ai bambini devono essere dati luoghi sicuri per imparare e per guarire. La sfida di riprendere l’apprendimento è ulteriormente gravata dallo spazio e dalle forniture limitati, dalla continua occupazione delle scuole da parte degli sfollati interni e dalla popolazione in movimento. Come misura immediata Unicef sta espandendo gli spazi di apprendimento temporanei e fornendo strumenti di apprendimento digitali e a distanza, ove possibile. Ma le soluzioni a lungo termine richiedono un’azione globale per ricostruire il sistema educativo distrutto di Gaza.
In che altri modi sta intervenendo Unicef? Quali sono le principali sfide da affrontare?
Durante tutta la guerra, Unicef ha fatto tutto il possibile per portare aiuti salvavita a bambini e famiglie. Abbiamo fornito cibo, acqua, attrezzature mediche e materiale per i rifugi come teloni alle famiglie bisognose. Squadre sanitarie mobili hanno curato bambini denutriti, spazi di apprendimento temporanei hanno ospitato bambini per attività educative e ricreative e abbiamo fornito supporto per la salute mentale ai più vulnerabili. Dall’inizio del cessate il fuoco,Unicef ha portato quasi 500 camion carichi di articoli salvavita. Queste forniture includono acqua, serbatoi d’acqua, cloro e prodotti chimici per il trattamento dell’acqua, kit igienici per famiglie, kit per le ragazze adolescenti, assorbenti igienici, biscotti ad alto contenuto energetico e proteico, alimenti pronti all’uso, vestiti invernali per neonati e bambini, attrezzature per la catena del freddo e i frigoriferi, materiale medico e ostetrico, e varie altri beni essenziali. Stiamo inoltre formando psicologi e assistenti sociali, espandendo spazi sicuri per i bambini e utilizzando la terapia del gioco per aiutarli a elaborare i loro traumi. Ogni bambino a Gaza ha una storia di perdita e tutti necessitano supporto. Le sfide sono enormi. I bisogni sono così elevati che l’aiuto umanitario non può sostenere un’intera popolazione. Abbiamo bisogno di accesso senza ostacoli e supporto globale per continuare questo lavoro salvavita e affinché il settore privato possa operare.
Come siete accolti dagli abitanti?
La gente di Gaza è incredibilmente generosa, paziente e accogliente nei confronti degli operatori umanitari. Nonostante abbiano perso tutto, si avvicinano con gentilezza e ospitalità. Sanno che siamo lì per i bambini. Ma vediamo anche la loro disperazione, frustrazione e rabbia: sono esausti, distrutti e si sentono abbandonati dal mondo. È però sbagliato vedere le famiglie a Gaza solo attraverso una lente di sofferenza. Le persone che ho incontrato qui sono anche scienziati, artisti, giornalisti, insegnanti e medici. Sono resilienti e sono determinate a ricostruire per realizzare i loro talenti e le loro ambizioni, proprio come chiunque altro. Rima, ad esempio, la nonna che si è ricongiunta con la nipotina, l’ho incontrata in una clinica partner di Unicef dopo che aveva partecipato a una sessione di educazione alla nutrizione per assicurarsi di avere tutte le conoscenze necessarie al fine di riportare la bambina in salute.
Quali sono i vostri appelli e a chi sono rivolti?
Il nostro appello è a tutti. Alla comunità internazionale: dobbiamo lavorare insieme per garantire che le parti mantengano il cessate il fuoco e che il diritto internazionale sia rispettato. Ai donatori: aiutate a finanziare programmi di cibo, cure mediche, istruzione e salute mentale. Alla società civile: continuate a donare, continuate a far sentire la vostra voce. Tutti noi abbiamo il potere di fare la differenza. Lo dobbiamo ai bambini.
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