Non è la tipica Sardegna, con il suo mare smeraldo e le sue ville di lusso. Quando, dopo un’ora di macchina da Cagliari, raggiungiamo la zona industriale di Portovesme, nel sud-ovest dell’isola (Sulcis), ciò che colpisce è la ruggine: le numerose ciminiere, i nastri trasportatori e la maggior parte delle fabbriche abbandonate, tutto è arrugginito. In questa mattina di fine gennaio, ci dirigiamo verso i cancelli della Portovesme SRL, uno stabilimento di proprietà della multinazionale svizzera Glencore dal 1999.
1.200 licenziamenti
La Tesla bianca dell’amministratore delegato Davide Garofalo spicca tra le utilitarie parcheggiate di fronte ai cancelli. All’interno si respira un’aria di smobilitazione. Fino a poco tempo fa qui si producevano piombo e zinco. Dopo la chiusura della produzione di piombo nel 2023, lo scorso dicembre è stata chiusa la linea di zinco.
È stato un colpo durissimo per gli operai, soprattutto per Patrizio Cancedda: «Nel 1985 sono stato io ad avviare la produzione e lo scorso dicembre, quasi quarant’anni dopo, è toccato a me chiudere definitivamente l’impianto. Mi sono messo a piangere pensando ai ricordi e al danno che questo farà a tutti». Lo abbiamo incontrato insieme ad altri colleghi vicino all’ingresso. Un cartello recita: “Portovesme SRL, tecnologia e sensibilità ambientale a disposizione del territorio”. La notizia della fine della produzione di zinco, annunciata lo scorso settembre, è diventata realtà a dicembre, quando l’azienda ha dato l’ordine di spegnere le macchine. Le proteste, che hanno attirato due ministri poco dopo Natale, non sono state sufficienti.
Contattata, Glencore ha dichiarato che la decisione è dovuta agli “alti costi energetici e alle difficili condizioni di mercato”. Il gruppo trasferirà la produzione in Germania e Spagna. L’impatto sul tessuto socio-economico di una regione già in crisi sarà devastante: lo zinco impiegava 1.200 persone, direttamente e indirettamente. I lavoratori si sentono traditi: «Non abbiamo più fiducia né in Glencore, che non ha mantenuto le sue promesse, né in un governo che non è stato in grado di dare risposte sulla questione energetica», dice Marco Roccasalva, un chimico che attualmente è incaricato di smantellare l’impianto. Un tavolo di crisi è stato convocato a Roma per oggi, 5 febbraio 2025.
La fabbrica diventa inceneritore
In attesa di decisioni da parte del governo italiano, una parte del sito rimane operativa: i due forni in cui vengono bruciati i fumi dell’acciaieria provenienti dal resto d’Italia e del mondo. Questo processo produce ossido di zinco, che prima veniva riutilizzato nel ciclo produttivo e ora viene commercializzato. I rifiuti, invece, continueranno a finire in una vicina discarica gestita dal gruppo svizzero.
Oggi l’impianto è di fatto un enorme e redditizio inceneritore di rifiuti industriali. Con il rischio che nei rifiuti finiscano materiali radioattivi. Come quelli che, nel maggio 2024, sono stati rispediti in Lombardia dal Prefetto di Cagliari dopo la rivelazione di livelli di cesio 137 superiori alla norma.
La paura della Black Mass
All’ombra delle ciminiere sarde, una parola è sulla bocca di tutti: Black Mass, la massa nera delle scorie di batteria. La Glencore vuole trasformare il sito di Portovesme in un centro globale per il riciclaggio delle batterie che, una volta frantumate, produrranno nuove materie prime. Secondo la multinazionale, il sito diventerebbe “la più grande fonte di litio riciclato per batterie e di nichel e cobalto riciclati in Europa”. Tuttavia, il progetto non suscita particolare entusiasmo. «Dietro la facciata della modernità tecnologica e dell’economia circolare, temo una nuova violenza ambientale e sociale nei confronti di un territorio da tempo abbandonato a un destino di disoccupazione e spopolamento», afferma Ignazio Atzori, sindaco di Portoscuso, cui appartiene il parco industriale.
Ci accoglie in municipio e ci mostra su una mappa le dimensioni della zona industriale e la sua vicinanza alle case. Arrivato qui nel 1976 come medico di distretto, nel corso degli anni è stato testimone dei danni provocati dall’industria alla salute e a un territorio che è stato dichiarato “area di crisi ambientale ad alto rischio”. Il Comune ha respinto il progetto e ha chiesto, come la Regione, che fosse sottoposto a una valutazione di impatto ambientale. Non va dimenticato che la Portovesme SRL e il suo amministratore delegato sono ancora indagati dalla Procura di Cagliari per presunto smaltimento illegale di rifiuti pericolosi.
Il progetto è stato criticato anche dal parroco locale, don Antonio Mura: «La Glencore si è arricchita sulle spalle dei poveri, dei lavoratori che ora ha licenziato con la promessa di un nuovo progetto che rischia di avvelenare ancora una volta la nostra terra». È mattina presto e siamo di fronte al mare. Davanti al sacerdote passa una barca carica di carbone, che alimenterà la vicina centrale, l’obsoleto cuore energetico della Sardegna; più in là vediamo l’isola di San Pietro, famosa per la sua tonnara. «Guardo questo luogo magnifico, che scalda l’anima, ma dietro ci sono le ciminiere che hanno dato lavoro, ma anche tanti problemi», dice don Mura, ricordando i tanti funerali di giovani che ha già dovuto celebrare nella sua parrocchia.
In un luogo in cui gli indicatori sociali sono in crisi, il tema della salute e dell’ambiente rischia però di passare in secondo piano.
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