Requisiti di pensionamento: se all’Inps serve un avvocato difensore

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L’Inps aveva aggiornato i requisiti di pensionamento sulla base dei nuovi dati demografici dell’Istat. Ne sono nate polemiche che hanno indotto l’Istituto a ritirare la correzione. Ma è un errore: si tratta di un dato tecnico e non politico.

I fatti

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Nei primi giorni dell’anno l’Inps, sulla base dei nuovi dati demografici dell’Istat, ha aggiornato lo strumento di simulazione della pensione a disposizione dei cittadini, aumentando i requisiti di uscita per vecchiaia e anzianità dal 2027 in poi. Sono piovute le critiche e l’aggiornamento è stato ritirato. Eppure, l’Istituto si è mosso nel solco delle sue funzioni. Ma andiamo con ordine.

Il 29 marzo 2024 l’Istat ha rilasciato gli indicatori demografici per il 2023, seguite il 24 luglio dalle previsioni della popolazione residente con base il 2023. L’Inps ha incorporato i nuovi dati nel tool di simulazione pensionistica, di conseguenza i requisiti anagrafico-contributivi di uscita sono stati aumentati di tre mesi dal 2027 e di due mesi dal 2029.

Le critiche hanno convinto prima l’Inps a disapplicare gli incrementi e poi il ministro del Tesoro a parlare di loro sterilizzazione. Secondo l’obiezione più diffusa, prima di cambiare i requisiti nelle simulazioni, sarebbe stato necessario attendere il decreto ministeriale di recepimento. Di lì a poco, però, la Ragioneria generale dello stato ha pubblicato l’aggiornamento del rapporto “Le tendenze di medio lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario” che, nella tavola con i requisiti sino al 2070, riporta +3 mesi nel 2027 e +2 mesi nel 2029. Il grafico 1 descrive l’andamento della vita attesa a 65 anni secondo i nuovi dati Istat.

Figura 1

La normativa

L’automatismo dei requisiti esiste dalla “riforma Sacconi” del 2009, con le modifiche della legge Fornero. L’articolo 22-ter del Dl 78/2009 stabilisce che “i requisiti sono adeguati all’incremento della speranza di vita accertato dall’Istat”. L’articolo 12 del Dl 78/2010 aggiunge il decreto del ministero del Tesoro di concerto con il ministero del Lavoro che recepisce gli adeguamenti almeno un anno prima l’applicazione. È un decreto direttoriale ricognitivo la cui mancata emanazione reca danno erariale. Secondo l’articolo 12 del Dl 78/2020 e l’articolo 24 del Dm 201/2011 l’aggiornamento è biennale: nell’anno (t) i requisiti sono aumentati della differenza tra la media della speranza di vita a 65 anni negli anni (t-3) e (t-4) e la stessa media negli anni (t-5) e (t-6). Le variazioni non possono essere negative né eccedere i tre mesi, con successivo recupero. Il grafico 2 riporta l’andamento dell’età per il pensionamento di vecchiaia dal 2012, con il primo adeguamento nel 2013:

Figura 2

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Il simulatoredell’Inps si spinge al lungo periodo. Arenato il progetto della cosiddetta “busta arancione”, il tool svolge la funzione di vero e proprio portale informativo. Se si dovesse attendere il decreto non sarebbe possibile costruire proiezioni oltre il biennio, un paradosso dopo tutti gli sforzi compiuti per allungare l’orizzonte di valutazione (Rgs, Awg-Ecofin). Al contrario, la pronta diffusione delle statistiche prepara il terreno al decreto, confermandolo come atto tecnico e non scelta politica.

Certo, l’Inps avrebbe potuto temporeggiare sino al 31 marzo 2025 quando saranno pubblicati gli indicatori demografici del 2024 e sarà disponibile il dato consuntivo della speranza di vita a 65 anni relativa al 2024 (t-3). Ma questa critica appare di rilievo minore. Con il suo orizzonte di lungo periodo, il tool non può non includere anche anni non assestati. La previsione per l’anno immediatamente successivo quello base (2023) si può ritenere sufficientemente attendibile da dare priorità alla finalità informativa, anche considerando che la vita attesa è calcolata osservando quanto già accaduto alle coorti di età più anziane, e plausibilmente sottostima la vita attesa prospettica. Inoltre, dai nuovi dati emerge un guadagno di speranza di vita da applicare nel 2027 significativo, sette mesi che poi si riducono a tre per il recupero delle variazioni negative del 2023 (-3 mesi) e del 2025 (-1 mese). Infine, sarebbe stato istituzionalmente imbarazzante se l’Inps avesse temporeggiato con gli incrementi che comparivano di lì a poco nel rapporto di Ragioneria.

Si stenta a riconoscere responsabilità dell’Inps. Semmai l’errore è stato cedere alle critiche. Adesso il tool dell’Inps non è aggiornato e veicola l’informazione che nel 2027 i requisiti resteranno al valore del biennio 2025-2026. Se la progressione dei requisiti è un automatismo tecnico, l’Inps fa bene ad aggiornare il suo tool ogniqualvolta sono disponibili nuovi dati, mentre esce di mandato quando subordina l’operazione al dibattito politico. Dovrebbe ora ri-aggiornare il tool per rimanere parte terza rispetto all’ipotesi di sterilizzazione degli aumenti che è sul tavolo. Almeno sino allo “scollinamento” della gobba di incidenza della spesa pensionistica sul Pil (oltre il 17 per cento entro il 2040), la progressione automatica è un “timone” importante e sarebbe un brutto precedente se nel 2027 ne saltasse l’applicazione.

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Nicola Salerno

Esperto di Impact Assessment in Eiopa – European Insurance and Occupational Pensions Authority. Laurea in Economia, Università ‘Luigi Bocconi’. Master in Economics, Lovanio (Belgio). Dottorato in Economia, Siena. Analista finanziario, Mediobanca, 1997-1999. Assegnista di ricerca, ISAE, 1999-2001. Funzionario area regolazione, Gestore dei Mercati Energetici, 2001-2003. Consulente economico-finanziario, Dipartimento del Tesoro, 2000-2004. Si occupa di welfare system e crescita, sostenibilità delle finanze pubbliche, liberalizzazioni e regolazione dei mercati, disegno delle Istituzioni e federalismo, valutazioni di impatto dell’attività legislativa-regolamentare. Economista di Reforming.it



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