“Le democrazie possono regolamentare il mercato dell’informazione e la loro stessa sopravvivenza dipende da queste norme”. Nel suo ultimo saggio “Nexus” Yuval Noah Arari riferisce questa riflessione soprattutto al dibattito pubblico, che rischia di essere dominato da una forma aliena di intelligenza imperscrutabile che “sembra favorire la concentrazione delle informazioni e dei processi decisionali in un unico luogo” e che è “una minaccia per la democrazia”.
Questa affermazione deve essere assunta come imperativo categorico: la nostra civiltà giuridico-politica basata sulla libertà di opinione e sull’uguaglianza delle opportunità corre il pericolo concreto di trasformarsi in un ancora non identificabile sistema totalitario di dominanti e di dominati, di sovrani e di sudditi, di chi ha in mano i dati e gli strumenti per gestirli per accumulare conoscenza e potere, e di chi invece viene sempre di più sottomesso e manipolato.
A meno che non si proceda con consapevolezza, fermezza e rapidità. L’Unione Europea ha avviato un processo di regolamentazione che è in progress come lo è la nuova rivoluzione digitale che stiamo vivendo (la terza: prima internet, poi social media e smartphone e ora, probabilmente la più grande, l’intelligenza artificiale), che tuttavia soffre di eccessiva lentezza. Quanto sia cruciale che proceda a una velocità superiore lo dimostra uno degli ultimi episodi della battaglia che oppone the masters of the data, i signori dei dati, controllori delle sinapsi dell’IA, e i guardiani dei valori sui quali si basa la comunità degli uomini liberi: le autorità che sorvegliano le basi giuridiche del sistema democratico.
Mark Zuckerberg l’inventore di Facebook, ora amministratore delegato di Meta, insieme a manager di altre big tech e anche a alcuni dei più importanti esponenti dell’imprenditoria italiana, nonché alcuni dei più affermati studiosi di informatica hanno recentemente attaccato l’Ai Act, la prima legge al mondo sull’Intelligenza Artificiale, che si occupa in particolare dei rischi, varata dal Parlamento europeo nel marzo 2024, e il GDPR, il Regolamento Generale europeo sulla protezione dei dati, entrato in vigore nel 2018. Con questo fervore regolatorio definito “incoerente e frammentario”, sostengono, l’Europa finirà per restare fuori dal mercato dell’Intelligenza artificiale e questa crescerà senza tenere conto dei dati europei. L’avvertimento è minaccioso: proseguendo su questa strada, il vecchio continente non ha futuro.
Non stanno molto a cuore i diritti delle persone ai monopolisti digitali, insensibili alla possibilità di violazioni che addirittura possono arrivare a snaturarli. Se si può discutere sui tempi e sull’omogeneità dei processi normativi europei, resta al contrario fondamentale che si rivedano vecchi diritti in qualche modo svuotati e banalizzati dalla transizione digitale e si lavori su nuovi diritti che devono essere precisati, articolati, stigmatizzati a causa del carattere pervasivo, scivoloso e ambiguo dell’ambiente digitale.
Pensiamo solo al fatto che l’IA può diventare il più formidabile strumento creatore di disuguaglianza fra chi possiede uno strumento in grado di mettere a disposizione l’universo della conoscenza perché ha soldi e know how, e chi invece continua a poggiarsi solo sulle possibilità limitate del cervello umano. Ovviamente qui si parla di strumenti di mercato per l’acquisizione di ricchezza e potere, non di formazione e sviluppo dell’identità e della coscienza.
La forbice fra conoscenza e ignoranza è destinata ad allargarsi sempre di più, con un’importante differenza: lo sciocco che ha in mano l’IA è molto più pericoloso di colui che legge tanti libri e impara tante nozioni che non riesce però a far diventare vitale e creativo patrimonio intellettivo. Addio Bouvard e Pecuchet di Flaubert, innocui e simpatici personaggi del passato. E’ in arrivo l’apprendista stregone di Goethe evocato da Harari.
Questa considerazione impone la necessità di individuare e definire un diritto all’uso dell’intelligenza artificiale, che comporti un’adeguata formazione per conoscerne e dominarne i meccanismi, nonché la possibilità di avere le risorse necessarie per accedervi. Si tratta di un diritto all’alfabetizzazione digitale avanzata che deve essere permanente, aggiornata, sottoposta a critica e continua revisione. A questo si associa un diritto alla trasparenza che impone che ognuno sappia in un qualunque istante se l’interlocutore con il quale ha a che fare è un robot, un agente non umano, o una persona fisica. Perché siamo ormai esposti al pericolo di interagire senza saperlo con l’intelligenza artificiale. Deve essere sempre chiaro – sottolinea Harari – che un robot non ha diritti di opinione né la coscienza etica che filtra la trasmissione di idee e convinzioni. Senza tralasciare quello preliminare a tutti gli altri, già consacrato dal dibattito pubblico, e cioè il diritto alla sicurezza informatica così trascurato dalle grandi aziende digitali, come lamenta il neo Premio Nobel per la fisica, nonché padre dell’IA Geoffrey Hinton.
Guardiamo la questione sul versante dell’informazione, in generale del diritto dei cittadini a essere informati da una stampa libera e indipendente, del diritto/dovere di formarsi un’opinione, del diritto all’oggettività dei fatti. In una parola del diritto a non essere ingannati né manipolati. Un concetto che raramente viene messo in evidenza (se non quando si parla di insider trading, l’accesso a informazioni riservate che permette illeciti guadagni negli investimenti finanziari), è il postulato della simmetria dell’informazione: ciascun cittadino utente o lettore o ascoltatore che sia, se vuole, deve essere messo in grado di disporre delle stesse informazioni, senza gerarchie né di quantità né di qualità, di accedere alle stesse idee, agli stessi servizi e alle stesse opportunità degli altri.
Nel mondo dei media digitali tutto ciò sembra scontato, ma non lo è. Ci sono categorie di persone che sono più esposte rispetto ad altre alle fakenews, le notizie false, fuorvianti o parzialmente vere, e più direttamente alle truffe e alle manipolazioni, dal momento che i social media creano “camere degli echi”, mondi chiusi nei quali circolano informazioni monocordi, veicoli di pregiudizi, distorsioni della verità. E’ sulla ripetitività dei comportamenti che prosperano gli imbroglioni di ogni natura (cfr. il saggio sui comportamenti sociali di Richard H.Thaler e Cass R.Sunstein, Nudge, La spinta gentile, Feltrinelli).
Simmetria dell’informazione significa modalità di trasmissione di messaggi con trasparenza, correttezza e fedeltà ai fatti, disponibili e accessibili facilmente in modo che siano competitivi e possano oscurare quelli falsi o ingannatori. Qui si pone uno dei nodi cruciali perché la premessa è che sia ripristinata la fiducia in coloro che sono chiamati a fare da guardiani della qualità delle notizie, i giornalisti.
Questi da una parte soffrono della crisi del settore editoriale indotta delle nuove tecnologie digitali, quindi non possono contare sulla tranquillità economica di cui ha bisogno chi è impegnato in un’attività difficile, delicata e soggetta inevitabilmente a errori. Dall’altra la stessa pervasività e enorme pressione e sovrapposizione dei messaggi commerciali crea intorno a loro ambienti informativi distorti nei quali sono spinti più al conformismo e alla superficialità che alla messa in atto degli strumenti di approfondimento e verifica che loro impone il codice deontologico..
Per una concomitanza di tanti fattori, non da ultimo la tendenza alla spettacolarizzazione dell’informazione, si è venuto a creare un profondo gap di sfiducia fra lettori e giornalisti, i cui effetti si possono verificare ogni giorno nelle polemiche che prevalgono sui fatti, e soprattutto nella marcia spedita del governo di centrodestra nell’introduzione di limitazioni alla libertà del giornalista, senza che vi sia una reale ed efficace opposizione da parte dell’opinione pubblica
Per mettere in equilibrio questo delicatissimo aspetto che tocca i meccanismi fondamentali del sistema democratico, l’Europa già ha fatto la sua parte. Nel marzo 2024, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la legge per la libertà dei media (EMFA) che introduce misure volte a proteggere i giornalisti e i fornitori di servizi di media da ingerenze politiche, rendendo nel contempo più agevole per loro operare attraverso le frontiere interne dell’UE. Le nuove norme si propongono di garantire il diritto dei cittadini di accedere a informazioni libere e pluralistiche, definendo la responsabilità degli Stati membri di fornire le condizioni e il quadro adeguati per proteggerle: “Gli Stati membri dell’UE riconoscono la necessità di rafforzare, modernizzare e chiarire le norme in materia di servizi digitali”. In particolare, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha definito norme per proteggere il giornalismo investigativo, le fonti di informazione giornalistica sottolineando l’effetto negativo delle sanzioni contro le attività giornalistiche, conducendo all’autocensura e ostacolando così la funzione pubblica del giornalismo come uno dei pilastri della vita democratica.
Spetta tuttavia ai giornalisti il compito principale di ripristinare la fiducia. Ci vorrà tempo, ma c’è solo un modo per farlo ed è quello di costruire giorno per giorno con la correttezza, l’aderenza ai fatti, l’indipendenza dall’interesse politico o materiale e l’onestà dell’approccio, l’autorevolezza inoppugnabile delle fonti.
In primo luogo, specularmente all’obbligo che spetta ai detentori dei big data, gli operatori dell’informazione devono avere a cuore il diritto alla privacy (con il connesso diritto all’oblio), sul quale si sta concentrando l’attenzione dei legislatori e che con l’intelligenza artificiale diventa ancora più cruciale per la tutela dei diritti fondamentali del cittadino. Non a caso l’attacco dei monopolisti digitali contro il processo normativo dell’Unione ha riguardato anche il regolamento sulla protezione dei dati che loro preferirebbero meno stringente.
In questi anni ciascuno di noi ha ceduto ciecamente a GAFA (Google, Apple, Facebook e Alphabet) tutti i dati personali e non solo quelli anagrafici, le fotografia anche le più private, i desideri, le aspirazioni, le abitudini, gli interessi, le tendenze politiche. E’ su questa enorme quantità di dati che lavora l’intelligenza artificiale, i cui processi profondi di elaborazione sfuggono anche a chi la programma.
Ormai il passato non è più rimediabile. Il compito del regolatore è quello di tutelare la persona e i suoi dati d’ora in avanti. E’ per questo che Zuckerberg, Musk etc. accusano l’Europa di restare fuori dal mercato digitale del futuro con avvertimenti che nascondono il pericoloso dogma che chi non sta al gioco dell’arricchimento continuo delle loro incommensurabili riserve di dati, è destinato all’emarginazione e alla povertà. L’Europa invece ritiene a ragione che la migliore chance per evitare ogni possibile catastrofe “è quella di mantenere i meccanismi democratici di autocorrezione che possono identificare e correggere gli errori man mano che procediamo” (Harari).
L’articolo è stato pubblicato sul numero 559-560 di Testimonianze: “L’Europa dei diritti alla sfida della transizione digitale”
https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20240308IPR19015/il-parlamento-europeo-approva-la-legge-sull-intelligenza-artificiale
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