Lo sbarco nella notte: la Brigata Sassari è tornata a casa

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inviato ad Alghero Le macerie e i razzi sono alle spalle, restano in un Libano dove una fragile tregua fra l’esercito israeliano e i miliziani di Hezbollah non basta a fermare le morti dei civili – almeno 22 la scorsa settimana – ma sembra destinata a reggere per altri 30 giorni. Sei mesi esatti dopo la partenza per il Sud del Libano, i primi 80 militari della Brigata Sassari sono tornati in Sardegna: sono atterrati ad Alghero poco prima di mezzanotte, con un Boeing 767 dell’Aeronautica militare decollato da Beirut intorno alle 20. Altri 1.120 sbarcheranno nei prossimi giorni. E stavolta il sospiro di sollievo dei loro familiari è stato un po’ più forte, rispetto al passato. Ottobre e novembre sono stati i mesi più difficili, quelli durante i quali le schermaglie fra i soldati israeliani e i miliziani del Partito di Dio si sono fatte guerra. E in cui i missili e i razzi sono piovuti anche sulle basi occupate dai militari sardi: prima quelli dell’Israeli Defense Force, poi quelli di Hezbollah. Il culmine della tensione è stato il 22 novembre, quando almeno due razzi hanno colpito la base di Shama, dove si trova il quartier generale del settore Ovest della missione Unifil che opera al confine meridionale del Libano su mandato delle Nazioni Unite. Quattro “sassarini” feriti finirono in infermeria per accertamenti. Cinque giorni dopo, venne firmata la tregua.

Ieri mattina, all’interno della base “Millevoi” di Shama, il passaggio di consegne alla guida della missione fra il generale Stefano Messina della “Sassari” e Nicola Mandolesi, comandante della “Pozzuolo del Friuli”. Ai “Sassarini” sono andati i ringraziamenti del ministro della Difesa Guido Crosetto, del capo missione e comandante Unifil Aroldo Làzaro e capo dello Stato maggiore della Difesa Luciano Portolano.

Poi il lungo viaggio in aereo, che ha dovuto anche affrontare diverse turbolenze sul Mediterraneo, alimentando un’attesa sempre più ansiosa. Quando i portelloni antipanico del terminal bagagli dell’aeroporto “Riviera del Corallo” si sono aperti, per un attimo il silenzio è stato assoluto. Un attimo solo, poi è esplosa la gioia dei bambini, sono sgorgate le lacrime di mogli e mariti, fidanzati e fidanzate: dopo sei mesi, finalmente un bacio, un abbraccio.

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I militari, accolti dalla prefetta Grazia La Fauci e dalle massime autorità civili e militari del territorio, si sono schierati di fronte al generale Stefano Messina, che li ha ringraziati per il servizio prestato in questi mesi. Messina ha tracciato un bilancio dei sei mesi, segnato fin da subito dall’offensiva lanciato a fine agosto dall’esercito israeliano verso la parte meridionale del Libano, proprio quella dove operano ormai dal 2006 le forze di interposizione delle Nazioni Unite. Sullo sfondo, la tragedia umanitaria di Gaza, pochi centinaia di chilometri più a Sud, rasa al suolo dai bombardamenti israeliani: «Durante questo difficile periodo i caschi blu italiani e del settore Ovest di Unifil sono rimasti saldi nelle loro posizioni, mostrando una incrollabile dedizione e una ferrea volontà di rispettare il mandato del consiglio di sicurezza Onu». Il generale ha ricordato i momenti più difficili: «Tutti insieme, abbiamo affrontato le conseguenze degli attacchi diretti alle nostre basi, che hanno provocato il ferimento di numerosi peacekeepers, ma non ci siamo mai tirati indietro. La nostra risposta è stata ferma e inequivocabile. La nostra missione non è mai stata quella di scegliere da che parte stare, ma di essere una forza di pace. E lo abbiamo fatto, tenendo alta la bandiera delle Nazioni Unite, simbolo della speranza di pace in Libano». Poi, è arrivato il “Rompete le righe”. Ed è stato il momento degli abbracci.



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