I fantasmi di Yangon – atlante guerre

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Con la guerra l’ex capitale è diventata un luogo sicuro per i birmani ricchi che vi si sono trasferiti dalle periferie. Il risultato è una città che ostenta ricchezza, prezzi alti e tutti i generi di consumo per chi se li può permettere. La guerra sembra lontana ma è alle porte

di Theo Guzman da Yangon

Il cuore della resistenza al golpe militare del 2021 in Myanmar era stato, a Yangon, il quartiere di Sanchaung. Situato quasi in faccia alla Shwedagon Pagoda, il tempio più importante dell’ex capitale da cui è divisa dalla Pyay Road – la grande arteria che scende lungo questa città che si sviluppa tutta in verticale -, è sempre la quinta di suoni e colori che lo rendono affascinante: ci sono i fioristi con ogni sorta di pianta e i venditori di ogni tipo di vegetale commestibile, bancarelle che espongono diverse qualità di aglio e cipolle e una sfilza di espositori di frutta.

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LA RIVOLUZIONE PACIFICA di Primavera cominciò in un certo senso da qui: famiglie armate di pentole che, la sera, battevano ritmicamente il loro cacerolazo birmano per contestare i golpisti. Dagli alti palazzi un po’ fatiscenti e gli uni incollati agli altri, riprendevano coi telefonini gli arresti e insultavano i militari che facevano le retate. Poi, nel giro di un anno, la protesta pacifica si è trasformata in lotta armata. Non bastava più metter fiori nei cannoni dei militari. Questi sparavano. Mirando alla testa. Il mago di una setta buddista che istruisce il capo della giunta – generale Min Aung Hlaing – aveva detto al dittatore: «Taglia la testa del serpente».

Adesso il serpente si è ritirato, ci dice un residente: «Niente più cortei, manifestazioni, scioperi dei negozi» che allora abbassavano le saracinesche in tutto il Paese. Hanno paura? Il cenno con la testa è affermativo. Le lotte di allora si sono trasformate nei mille rivoli di una guerra che ieri entrava nel suo quinto anno di vita.

IL PRIMO FEBBRAIO non è comunque una ricorrenza che il Consiglio di amministrazione statale (Sac), come i golpisti si fanno chiamare, ricordi con celebrazioni. Venerdì avevamo chiesto a un gruppo di giovani donne cosa si aspettavano da questo quarto anniversario del golpe. «Nulla» risponde la prima. «Terranno un basso profilo», dice la seconda. «Annunceranno lo stato di emergenza» sibila l’ultima. Previsione scontata. Passa qualche ora e arriva la comunicazione: altri sei mesi di stato di emergenza.

Bisogna aspettare il giorno dopo – ieri – per leggere per intero il discorso del dittatore. Riunito a Naypydaw, la nuova capitale prigione dove è rinchiusa Aung San Suu Kyi, il Consiglio nazionale di difesa e sicurezza dell’Unione vede, con Min Aung Hlaing, il portavoce del Parlamento, il vice comandante dei servizi di difesa Soe Win, il titolare della difesa Maung Maung Aye, il ministro degli Interni Yar Pyae, quello degli Esteri Than Swe e il ministro delle Frontiere (tutte praticamente ormai sotto controllo dell’opposizione armata) Tun Tun Naung. Il Gotha del golpe affida a Min Aung Hlaing le frasi di rito: libere elezioni e «soluzioni politiche che richiedono il dialogo al tavolo dei negoziati» a cui nessuno per altro si vuol sedere.

MA NAYPYDAW e i suoi venti di guerra sembrano lontani qui a Yangon. Una citta strana che sembra vivere una sorta di bolla felice dove i black out di energia non durano quasi tutto il giorno come altrove e dove il conflitto sembra appartenere a un altro mondo. Bolla che non riesce comunque a nascondere diseguaglianze macroscopiche, povertà diffusa e una crisi che morde mentre si vive un doppio standard. Anzi triplo. Al cambio ufficiale un euro non arriva a 2.200 kyatt, la divisa birmana. Ma già all’aeroporto si può cambiare a 3.600. E in città a 4.500. Se un litro di benzina costa 3300 Kyat e gli stipendi di aggirano sui 200-250mila kyatt al mese, si fa in fretta a fare i conti. E se in città va ancora bene, nelle campagne si fa fatica ad arrivare a fine mese. Un cambio cosi denuncia un’inflazione che fa del kyatt carta straccia più che carta moneta.

VISTA DALL’AEROPORTO, più che uno Stato paria, la Birmania assomiglia a una nazione fantasma. E il flusso di passeggeri, soprattutto birmani, è risibile. In citta il traffico sembra caotico come al solito, in una megalopoli dove sono stati bizzarramente vietati i motorini anni fa, ma a ben vedere anche la presenza delle auto diminuisce appena si lasciano le arterie principali. A Yangon è razionato anche il cemento per far andare avanti le attività di edilizia urbana che però non mancano, come un gigantesco ponte sul fiume in costruzione. Soldi ne girano e le merci sugli scaffali non mancano. Ma è una bolla che può sempre scoppiare.

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A Sanchaung, il Garden Residence un tempo luogo di elezioni delle Ong, deve fare i conti con personale straniero sempre più ridotto dalle sanzioni e dallo spionaggio continuo di telefoni e cellulari con cui si naviga segretamente solo tramite Vpn (utilizzarla è reato penale). Sembra che siano i cinesi ad aver migliorato le prestazioni dell’intelligence locale che, in effetti, dopo un paio di settimane riesce a intercettare chiunque. Ma con dei buchi bizzarri nel sistema. Il Myanmar è uno dei pochi Paesi dove è possibile infatti comprare una sim senza presentare il passaporto.

UNA PASSEGGIATA verso la Pagoda di Sule, nel centro storico, è una corsa a ostacoli per evitare i crateri nei marciapiedi, ma serve a notare che anche in quella zona della città il traffico è rarefatto rispetto al solito. I lava macchine di Kiun Taw Road, una parallela della Pyay, sembrano senza lavoro. Solo qualche macchinone coi vetri oscurati. Del resto prima di ieri un tam tam virale metteva in guardia su possibili attentati di cui per altro fan spesso le spese i poveracci. Come a Natale scorso, quando una bomba su un ponte a Yangon ha fatto il botto. Portandosi via quattro scalognati. Probabilmente fiduciosi nella Rivoluzione di Primavera.

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