(Adnkronos) – “Il crack a Palermo era arrivato già da otto anni, diffuso nelle periferie e tra i ragazzi. Tutti sapevano, eppure a lungo non sono state intraprese azioni incisive per arrestarne la diffusione. Un’epidemia contro la quale per molto tempo non è stato messo in campo alcun ‘vaccino'”. Francesco Zavatteri è un fiume in piena, all’Adnkronos racconta del ‘suo’ Giulio, morto a 19 anni, il 15 settembre del 2022, ucciso da quelle droghe che lo avevano trasformato. “Ho trovato una situazione fuori controllo – dice – e ho dovuto lottare contro il pregiudizio. Anche il mio purtroppo. L’idea che ‘chi si fa’ sia un delinquente, invece a imboccare quella strada sono tanti ragazzi, giovani con un percorso di vita difficile, con un senso di inadeguatezza e di vuoto. Ragazzi che hanno bisogno di aiuto per emergere da uno stato di profondo malessere che finisce per annientarli”. Un “percorso di autodistruzione”, lo definisce papà Francesco. “Giulio era un ragazzo affettuoso, sorridente, gioioso, affabile. Poi è diventato via via sempre più chiuso, scontroso, aggressivo verbalmente e fisicamente. Ingestibile”.
Il primo ‘incontro’ con le droghe alle superiori. “Nel suo zaino abbiamo trovato della marijuana, ci siamo ovviamente allarmati ma abbiamo confinato la cosa a un passaggio adolescenziale. Lo abbiamo preso di petto, cercando di capire perché lo facesse, ammonendolo a non usarla più”. E’ l’inizio di un percorso, fatto di incontri con gli psicologi e passaggi in comunità. “Durante un ricovero nel reparto di Neuropsichiatria dell’Ospedale dei bambini per via del suo stato estremo di agitazione – ricorda Zavatteri – i medici ci dissero di aver riscontrato un moderato stato depressivo e una forte compulsione verso le sostanze stupefacenti”. Per Giulio arriva la prima ‘comunità’ a Partinico, “una casa famiglia con ragazzini con situazioni pazzesche alle spalle, ‘orfani della vita’ li chiamavo io”. Un passaggio breve, prima di approdare in un’altra struttura a Geraci. “Qui Giulio era rinato. Sveglia all’alba e il lavoro in una fattoria in mezzo al Parco delle Madonie tra la natura e gli animali. Si era iscritto nuovamente a scuola a Ganci, era tornato a essere il ragazzo che tutti conoscevamo, brillante, pieno di vita”. Nella comunità di Geraci Giulio resta circa 18 mesi. Poi il ritorno a casa con la messa alla prova. “Troppo presto, Giulio non era pronto”, dice papà Francesco. La dipendenza torna a fargli compagnia. “Usciva e staccava il telefono. A volte la sera non rientrava a casa”. E’ il crack a dargli sollievo. Almeno così crede. “Inizia a farne uso in maniera sempre più frequente, era diventato intrattabile e inavvicinabile. Poi è stato un precipitare di vicende, un susseguirsi di ingressi in comunità che, però, non hanno fatto altro che aggravare il suo malessere”. Fino ad arrivare alla notte tra il 14 e il 15 settembre del 2022. “Avevamo cenato insieme e avevo capito che c’era qualcosa che non andava – ricorda -. Non era, però, più strano di altre volte, avevo portato un drug test e mi ero ripromesso di farglielo l’indomani. Dopo cena è uscito nel giardino della villetta bifamiliare che condivido con mio fratello. L’ho sentito scherzare e ridere con lui e mi sono tranquillizzato. Rientrato a casa, è venuto a salutarmi: ‘Ci vediamo domani, papà’, mi ha detto e io mi sono addormentato sereno”. Invece, la mattina successiva Giulio non c’era più. “Intorno all’1.30 di notte si è iniettato dell’eroina, chi fa uso di crack la usa in vena per calmarsi”. Insufficienza respiratoria causata dall’azione sinergica di due sostanze somministrate in poche ore, recitava il referto medico. Un “dolore immenso, difficile da gestire”, che papà Francesco ha trasformato, però, in una missione di vita: aiutare altri ragazzi. Per farlo ha fondato un’associazione ‘La Casa di Giulio’. “Ho provato rabbia per non essere riuscito a salvarlo, ma anche per l’assenza, la latitanza delle Istituzioni – ricorda oggi -. Ci siamo sentiti abbandonati, c’era grande disinformazione. Oggi le cose sono cambiate, ma siamo ancora all’anno zero. A Palermo il crack si è diffuso in modo preoccupante, soprattutto tra i giovanissimi. I ragazzi hanno un grande senso di vuoto e malessere, sempre più spesso usano la marijuana al posto delle sigarette, associando alcolici e ansiolitici. Di solito sono gli stessi spacciatori a proporre loro il crack: ‘Ti fa sballare meglio’, dicono loro. Sono venditori di morte, perché nel giro di qualche mese si diventa assuntori compulsivi in un percorso terribile di autodistruzione. Il crack ti toglie la capacità di intendere e volere, l’unico obiettivo della tua vita diventa fumare e trovare soldi per fumare. Così la mafia fa affari”. Con la sua associazione papà Francesco va nelle scuole, nelle università, negli incontri pubblici. “Ovunque mi invitino per fare prevenzione e sensibilizzazione, perché la storia di Giulio è comune a quella di tanti altri ragazzi purtroppo”, dice. Ma ha aperto anche uno sportello di ascolto con psicologhe, volontari, assistenti sociali, mediatori culturali, operatori di strada. “Abbiamo un numero dedicato sempre attivo e dallo scorso 15 settembre anche un’unità mobile, di cui è responsabile mio figlio Vincenzo, che opera nelle piazze di spaccio. Vanno nei vicoli di Ballarò a parlare con i ragazzi che vivono in ricoveri di fortuna, portano loro cibo, acqua, qualche coperta, quello di cui hanno bisogno, spesso anche solo un po’ di ascolto. E’ importante che non siano lasciati soli, che non siano più invisibili. Alcuni di loro hanno avviato un percorso terapeutico”. Lo scorso settembre l’Assemblea regionale siciliana ha approvato il ddl ‘Dalla dipendenza all’interdipendenza’, che introduce un sistema integrato di interventi educativi e sociosanitari per affrontare le dipendenze patologiche. “Insieme a tante altre realtà abbiamo lottato per questo risultato. Ho molta stima della dottoressa Faraoni (il neo assessore alla Sanità della Regione siciliana, ndr), ci è stata molto vicina e sono certo che attuerà le norme previste nel ddl”. Oltre a programmi di prevenzione a tappeto nelle scuole, nelle università e nei luoghi di lavoro, il testo prevede anche l’apertura di centri a bassa, media e alta soglia per il recupero dei giovani tossicodipendenti. “Sono strutture fondamentali”, dice papà Francesco. Intanto, lo scorso anno è stato inaugurato a Palermo il ‘Centro di pronta accoglienza’, realizzato da Regione siciliana e Azienda sanitaria provinciale di Palermo all’interno dell’edificio 13 del presidio Pisani di via La Loggia. Un progetto pilota (il primo in Sicilia e tra i primi in Italia a gestione diretta di un’Azienda sanitaria) in grado di offrire assistenza diretta e supporto medico-sanitario e sociale alle persone con dipendenza da sostanze, in particolare crack e cocaina. “Il crack è un fenomeno trasversale, colpisce ragazzi, e non solo, di ogni estrazione sociale. A Giulio non mancava nulla, era un ragazzo simpatico, sportivo, estremamente intelligente, parlava due lingue, dipingeva. Eppure è successo e noi non siamo riusciti a dare una battuta di arresto. E’ importante parlarne perché nessuno si senta più solo”. Tornando indietro c’è qualcosa che si rimprovera? “Ho un unico rammarico: avrei dovuto abbandonare tutto e dedicarmi solo a lui, sarei riuscito a salvarlo. Negli ultimi tempi mi diceva: ‘Vedrai papà, a poco a poco ce la facciamo’. A luglio del 2023 avremmo dovuto fare insieme il Cammino di Santiago. Non ci siamo riusciti, la droga me lo ha portato via prima”. (di Rossana Lo Castro) —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link