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In Lombardia pagati 76 milioni di euro fra multe e contributi esonerativi. Le aziende: «Difficile trovare i profili giusti»
«Le aziende italiane cercano ancora il lavoratore con disabilità alto, biondo e laureato». Questa battuta in voga fa ben comprendere come, a quasi 26 anni dall’approvazione della legge 68 del 1999 sulla promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili, i passi in avanti da compiere siano ancora tanti.
Innanzitutto dal punto di vista statistico, perché i numeri a disposizione – numeri da cui inevitabilmente dovrebbe partire una riflessione seria sul tema – sono imprecisi e superati. «Non abbiamo dati credibili e quelli che abbiamo sono obsoleti» dice Marino Bottà, direttore generale di Andel (Agenzia nazionale disabilità e lavoro).
I numeri
Proprio da un’indagine di Andel, realizzata nel 2021, risulta che le persone con disabilità che hanno un lavoro sono il 35,8% (contro il 62% circa della popolazione generale); che la percentuale scende al 26,7% nel caso delle donne; che solo il 17,5% delle persone con disabilità occupati ha meno di 40 anni; e che la forbice si allarga molto a seconda del livello di istruzione. Nello specifico: lavora il 63,5% di chi ha la laurea, il 42,7% di chi ha il diploma superiore e soltanto il 19,5% di chi ha la licenza media. E i settori? Il 49,7% lavora nella pubblica amministrazione, il 27% nei servizi.
«Il problema riguarda soprattutto le disabilità intellettive e i non laureati» conferma Elio Borgonovi, economista e docente emerito della Bocconi. «Un primo tema è l’abbandono scolastico: il nostro sistema fatica a valorizzare le potenzialità degli studenti con disabilità, anche a causa della carenza di docenti di sostegno che abbiano una formazione specifica. Occorrerebbe poi favorire l’incontro fra domanda e offerta per tutti quei lavori che richiedono abilità semplici, privilegiando i percorsi scolastici che offrono professionalità operative immediate».
Legge e violazioni
La legge 68 ha previsto il collocamento mirato dei lavoratori con disabilità e le assunzioni obbligatorie, in una quota proporzionale al numero dei dipendenti. Anche qui i dati testimoniano però di un cortocircuito, se è vero che gli iscritti al collocamento sono circa un milione (su 3,1 milioni totali) e che il 29% dei posti che la normativa assegna ai lavoratori con disabilità è vacante.
Un numero in particolare fa impressione. Nel 2023, solo in Lombardia, le aziende hanno versato al Fondo per la disabilità circa 76 milioni di euro fra sanzioni e contributi esonerativi, vale dire «il contributo che l’azienda può decidere di versare in sostituzione di un’assunzione, qualora sussistano delle causali» spiega Bottà.
Il problema delle liste di collocamento
Altro elemento che finisce per rappresentare un disincentivo al lavoro è l’assegno di invalidità e accompagnamento, che decade quando la persona disabile supera una determinata soglia di reddito. «E una volta terminato il periodo di lavoro bisogna rifare da capo tutto l’iter per dimostrare la propria disabilità», dice Borgonovi: «Una proposta sensata sarebbe quella di sospendere l’erogazione dell’assegno in presenza di un rapporto lavorativo, per poi riprenderla automaticamente».
Le imprese, dal canto loro, lamentano grandi difficoltà di reclutamento: «Le aziende con oltre 50 lavoratori dovrebbero assumere il 7% di disabili, ma spesso non riescono a trovarli», spiega Valeria Innocenti, direttore area lavoro e previdenza di Assolombarda. «Nelle liste di collocamento – prosegue – compaiono persone che in realtà non sono intenzionate a lavorare e altre che sono iscritte da molto tempo e necessiterebbero di formazione».
Il ruolo del disability manager
Innocenti sottolinea che negli ultimi anni la sensibilità delle aziende sul tema è molto aumentata, e gli esempi virtuosi non mancano. «Una sperimentazione interessante è quello dell’Isola formativa, con la quale le imprese offrono all’interno dei loro spazi dei laboratori di apprendimento per le persone con disabilità. Nell’ottica di una riforma della legge 68 – osserva – si dovrebbe dare modo alle aziende di adempiere agli obblighi di legge anche attraverso progetti di questo tipo».
A una maggiore attenzione nei confronti dei lavoratori disabili ha certamente contribuito la figura del disability manager, introdotta nel 2009 con l’obiettivo di rendere il tema della disabilità centrale nell’organizzazione aziendale. «Siamo dei facilitatori tra diverse figure: risorse umane, responsabile del servizio prevenzione e protezione, funzioni informatiche e di prodotto», spiega Alessio Bianco.
«Allo stato attuale sono solo quattro le regioni che hanno riconosciuto il ruolo del disability manager creando un profilo professionale: Lombardia, Lazio, Valle d’Aosta e Sardegna» prosegue. Occorrerebbe adottare un linguaggio comune su tutto il territorio nazionale e favorire tavoli di lavoro con le grandi multinazionali, che possono trainare le piccole e medie imprese nell’adozione di best practices».
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