La ricorrenza del primo febbraio è un momento simbolico per ricordare l’estensione del diritto di voto alle donne italiane, sancita da un decreto legislativo luogotenenziale firmato da Umberto di Savoia il 1° febbraio del 1945, appunto, esattamente 80 anni fa. Quel provvedimento segnò una tappa decisiva lungo un percorso iniziato molto tempo prima, costellato dalle battaglie di figure femminili e maschili che, tra XIX e XX secolo, si impegnarono perché la parità diventasse una realtà concreta.
Fra i pionieri, Salvatore Morelli – patriota e deputato – e Flora Tristan (oggi quasi dimenticata), rivoluzionaria non violenta vissuta tra il Perù e l’Europa, che nel corso di una vita costellata da violenze subite dal marito, ingiustizie e privazioni, si impegnò strenuamente a sostegno delle classi più deboli della società, trasformandosi in una vera e propria cronista dell’epoca; ma anche Sibilla Aleramo, autrice di “Una Donna”, e i “padri” della legge sul divorzio, Antonio Baslini e Loris Fortuna. E ancora Mary Wollstonecraft con la sua storica rivendicazione dei diritti femminili e Anna Kuliscioff, attiva sul fronte della difesa delle lavoratrici e dei più giovani.
Copia del Decreto legislativo luogotenenziale del 1 febbraio 1945
È importante sottolineare che l’Italia arrivò tardi al suffragio femminile rispetto a molti Paesi occidentali, e che la strada fu resa ancor più irta dalla reticenza di diverse istituzioni. Solo con la caduta del regime fascista e la formazione del governo Bonomi, nel 1945, si avviò una svolta decisiva. Per cominciare, papa Pio XII diede un segnale poderoso, invitando le donne a non restare assenti e a partecipare attivamente alla vita del Paese: “Ogni donna, dunque, senza eccezione, ha, intendete bene, il dovere, lo stretto dovere di coscienza, di non rimanere assente, di entrare in azione [..] per contenere le correnti che minacciano il focolare, per combattere le dottrine che ne scalzano le fondamenta, per preparare, organizzare e compiere la sua restaurazione”.
Poi il decreto luogotenenziale del 1° febbraio 1945, che conferiva finalmente, a tutte le italiane che avessero compiuto 21 anni, il diritto di voto. Restavano esclusi soltanto i casi “schede delle prostitute” non operanti nei luoghi di esercizio autorizzati, a testimonianza di una mentalità ancora legata a cliché discriminatori.
Sarebbe servito poi un secondo provvedimento, il decreto del 10 marzo 1946, per riconoscere alle donne anche la possibilità di essere elette. E fu così che, già nelle elezioni amministrative dello stesso anno, comparvero le prime sindache e numerose rappresentanti nelle amministrazioni locali, segnando una nuova stagione di protagonismo femminile.
Nel frattempo, l’entusiasmo popolare fu tale da spingere sempre più donne a presentarsi ai seggi, nonostante l’invito – da parte di alcuni quotidiani dell’epoca – a togliersi il rossetto prima di chiudere la scheda con le labbra: “Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio”, si leggeva sul Corriere della Sera il 2 giugno 1946.
Il film “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi si chiude con la scena delle donne che partecipano al voto sul futuro d’Italia
Lo stesso 1946 vide per la prima volta le donne partecipare al referendum istituzionale tra monarchia e repubblica e alle elezioni per l’Assemblea Costituente. L’affluenza femminile sfiorò l’82% e ventuno donne entrarono a far parte della Costituente, con cinque di loro impegnate nella “Commissione dei 75”, incaricata di stendere il testo della nuova Costituzione: Maria Federici, Nilde Iotti, Teresa Noce, Lina Merlin e Angela Gotelli. Il 1° gennaio 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, l’uguaglianza dei diritti fra donne e uomini venne iscritta nelle fondamenta della neonata Repubblica.
Ma molte conquiste sono arrivate soltanto in seguito. Nel 1976, Tina Anselmi diviene la prima ministra della Repubblica. Nel 1996, Fernanda Contri è stata la prima donna a far parte della Corte Costituzionale, seguita, anni dopo, da Marta Cartabia, la prima a presiederla. Nel 2018, Maria Elisabetta Alberti Casellati ha conquistato lo scranno più alto del Senato, mentre la tornata elettorale del 2022 ha visto l’ascesa alla guida del Paese, in veste di presidente del Consiglio, di Giorgia Meloni. L’unico gradino ancora da salire resta quello del Quirinale, anche se, in un futuro non troppo lontano, il Paese potrebbe veder raggiunta anche quest’ultima storica tappa.
Marta Cartabia, prima ministra della Giustizia della Repubblica italiana
Il riconoscimento dei diritti femminili non è mai stato un regalo calato dall’alto, ma il frutto di un lungo e coraggioso cammino, sospinto da idee rivoluzionarie e dal sacrificio di tante donne che, nel corso dei decenni, hanno alzato la voce perché fosse ascoltata. Oggi, in questa ricorrenza importante, si guarda con gratitudine a quella stagione di idealismo e fermento, senza dimenticare che molto resta ancora da fare per consolidare una parità vera e duratura.
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