Come interpretare il conflitto governo magistura? Risponde il costituzionalista Roberto Bin

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In questi giorni un cittadino che accenda la Tv ha la sensazione di trovarsi nel mezzo di un gigantesco conflitto tra poteri dello Stato, spesso fatica a orientarsi nel dibattito infuocato che vede contrapporsi Governo e magistratura. Abbiamo chiesto a Roberto Bin, a lungo ordinario di Diritto Costituzionale a Ferrara, autore di uno dei manuali di Diritto Costituzionale più utilizzati nelle università italiane, di aiutarci a capire come interpretare alla luce della Carta quello che accade.

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Professore, come dobbiamo leggere questo scontro tra poteri, anche se la parola scontro ci piace poco?

«Non come uno scontro ad armi pari: più che un volare di stracci tra poteri io vedo un tiro al bersaglio del Governo contro la magistratura. La magistratura fa il suo dovere, indaga, emette sentenze, applica le leggi e le leggi sono le metaforiche catene che impediscono ai poteri di dilagare, ma la tentazione di dilagare è forte e le catene piacciono sempre meno. Il potere tende a prendersi tutto e la magistratura è uno dei contropoteri, come lo è la Corte costituzionale. È molto grave lo stallo, per cui il Parlamento non elegge i membri della Corte di sua competenza da un tempo immemorabile, tanto che ora basterebbe un’influenza a un giudice perché la Corte smetta di funzionare».

La tensione nel nostro Paese non è una novità…

«Vero, la cosa grave è che ci stiamo abituando ad accettare che membri dell’esecutivo chiamino magistrati “toghe rosse”, un insulto, una cosa gravissima. Far perdere prestigio alla magistratura non è un buon servizio al Paese, in Inghilterra sarebbe intollerabile. Il risultato è la disaffezione delle persone al voto, ma chi non vota lascia che siano pochi a decidere per tutti: non ci si rende conto che la disgregazione delle istituzioni porta alla disgregazione dei diritti di ciascuno di noi».

Per certi versi la dialettica nel costituzionalismo liberale è fisiologica, non per caso da Montesquieu in avanti gli organi di garanzia, Csm, corte Costituzionale, si fanno misti. Che cosa divide la fisiologia dalla patologia?

«Direi l’educazione. Non è necessaria la laurea per fare politica ma serve una cultura politico-istituzionale. Un tempo si usciva dalla fabbrica e per mettersi a fare politica si entrava nelle scuole di partito, oggi venute meno le scuole di partito, si fa politica senza una formazione adeguata. Il risultato sono classi dirigenti cui manca anche l’abc delle istituzioni: parlando da professore universitario, che è quello che sono, direi che sono ignoranti. Solo così si spiegano espressioni inconcepibili come quella di una presidente del Consiglio che in Sicilia ha parlato di tasse come di un “pizzo di Stato”, parole che indicano incapacità di cogliere i momenti istituzionali».

La critica alla magistratura è che nel momento in cui protesta per una legge in discussione fa politica. C’è questo rischio? 

«I magistrati, hanno le loro organizzazioni rappresentative, e per fortuna che le hanno mi dico di questi tempi, e hanno come tutti il diritto costituzionale della libertà di opinione e di associazione. È normale che protestino, come tutte le organizzazioni sindacali, se percepiscono che un altro potere sta passando il limite. Io non difendo i magistrati sempre, ma per diventare magistrati bisogna studiare, passare un concorso durissimo, fare un tirocinio, hanno gli strumenti per essere istruiti al rispetto istituzionale, cosa che mi pare manchi di questi tempi a chi al Governo usa toni che del rispetto istituzionale hanno davvero poco».

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Vediamo che spesso i social sono lo strumento comunicativo principale, anche chi governa, senza mediazioni evidenti, dice la sua in un video e lo pubblica autonomamente senza bisogno che qualcuno faccia domande più o meno scomode. Come impatta questo sugli equilibri democratici?

«Purtroppo male: la cosa più preoccupante non è tanto che una figura aggressiva come Trump vinca le elezioni, ma il fatto che noi abbiamo permesso e alimentato una concentrazione finanziaria enorme in mano a pochi: la storia del mondo è storia di leggi che cercano di delimitare il potere di sovrani, eserciti, dittatori, ma il potere finanziario in mano a pochissimi ricchissimi è un fenomeno recente, dovuto al fatto che abbiamo gestito male l’uscita dalla crisi economica e dalla pandemia stampando moneta finita in mani a pochi furbissimi che se la sono accaparrata».

Quanto è pericolosa la concentrazione contemporanea nelle stesse mani di potere finanziario e strumenti tecno-informativi pervasivi?

«Pericolosissima, ma è un problema del passato, perché non c’è più bisogno di detenere concentrazioni di stampa e Tv per dirigere le masse, l’informazione passa ormai per i social governati da non si sa bene chi e comunque in mano a potentissimi privati che decidono le regole, applicano la censura, poi la tolgono a capriccio. Per intenderci che Elon Musk dia dei giudizi sul Presidente della Repubblica tedesca è una cosa inconcepibile e mi stupisce che non ci sia stata una forte reazione. Proviamo a immaginare che cosa accadrebbe se il presidente Mattarella dicesse in un social che la Tesla non frena bene. Che cosa succederebbe?».

Si rischia che il castello che regge il nostro vivere civile subisca smottamenti?

«Si sta affermando l’abitudine di massacrare le istituzioni, brutto segno di un sistema degenerato. Abbiamo già smottato molto e lo smottamento è un processo lento come le frane sulle montagne non succede tutto d’un colpo. Ma è un processo difficilmente arrestabile perché l’opposizione non sta facendo una battaglia sufficientemente profonda sugli alti valori di fondo».

Una delle cose che fa discutere è che una riforma come la separazione delle carriere, che in quanto costituzionale, richiede ampie maggioranze arrivi in aula con testo blindato non aperto agli emendamenti. Quanto è improprio questo modo?

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«È una modalità che avrebbe disgustato i padri costituenti».

Che pensa della riforma?

«In Germania la formazione è comune non solo per Pm e giudici, ma anche per avvocati, notai, professori di diritto. La formazione comune è un valore, era l’idea della scuola Bassanini ma le corporazioni non l’hanno voluta. è importante che Pm e giudici abbiano una formazione comune perché al Pm noi affidiamo le indagini ma anche le nostre garanzie nelle indagini».





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