Presentazione del libro dal titolo “Dare un’anima alla politica” | Arcidiocesi di Sassari

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Mercoledì 29 gennaio l’Aula Isgrò dell’arcivescovado di Sassari ha ospitato la presentazione del libro dal titolo “Dare un’anima alla politica”, alla presenza dell’autore Don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI. L’appuntamento, promosso da Fondazione Accademia, Casa di Popoli, Culture e Religioni, è stato moderato da Franco Spada, direttore diocesano dell’ufficio per i problemi sociali e il lavoro. Don Bruno Bignami ha dialogato con il giornalista Pietro Masala e Chiara Canu, insegnante laureata in lettere.

L’immagine evangelica del lievito, non preoccupato della propria visibilità e tuttavia capace di far fermentare la pasta, è il simbolo di una presenza allo stesso tempo serena e ferma, pacifica ed efficace. È così che possiamo pensare, anche oggi, il ruolo dei cristiani in politica.

Il libro è diviso in due parti. La prima è fondativa e mostra come il cristianesimo tocca e forma le coscienze. La fraternità ha profonde radici teologiche e si è affermata nel percorso della dottrina sociale della Chiesa. Inoltre, chi si lascia interpellare dal mistero cristiano, e lo celebra con fede, viene trasformato dal dono di Cristo e può offrire con consapevolezza al mondo il dono delle proprie aspirazioni, visioni e competenze.

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La seconda parte raccoglie alcune testimonianze di vissuto o di pensiero sulla spiritualità in politica. Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira e David Sassoli (per giungere quindi all’attualità) raccontano, attraverso la loro esperienza in epoche diverse, differenti sfumature del rapporto tra spiritualità cristiana e politica e mostrano di aver trovato nel vangelo una comune ispirazione a prendersi cura del bene comune.

<< Il libro vuole essere una sorta di dichiarazione d’amore verso la politica in un’epoca come la nostra, dove tutti sparano zero. Vedere i limiti della politica oggi è abbastanza facile, vengono amplificati perché i limiti stessi ci sono in tutte le esperienze umane. Non esiste infatti un’esperienza umana perfetta, compresa quella ecclesiale. Tutte le esperienze umane sono perfettibili e hanno i loro limiti, le loro fragilità e le loro debolezze. Anche la politica è sottoposta a questo e ammetterlo sarebbe già tanto per la politica stessa. Il libro è una dichiarazione d’amore perché spinge a porsi degli interrogativi, in un’epoca nella quale meno del 50% degli italiani si reca a votare. Cos’è che spinge la gente ad allontanarsi dalla politica? Cosa è successo? E poi dall’altra, e questa ovviamente è una mia visione, provare a presentare alcuni dei fondamentali, chiamiamoli così, della politica. La politica è quello spazio di condizioni che permette alla gente di sentirsi a casa dentro una società. La mia impressione è che alcuni dei fondamentali della politica non funzionino, ma forse non se ne rende neanche conto la gente e allora bisogna ridirceli. Nel libro non troverete la risposta a su chi votare, quale schieramento. Non mi interessa questo. Mi interessa che si rimettano in piedi i fondamentali di un esercizio della democrazia, della cittadinanza e della politica. Tre i temi fondamentali che voglio sottolineare: quello della fraternità, lo sguardo di Dio sulla storia, anche per chi fa politica, e il valore della parola >> – il commento dell’autore nell’argomentare le ragioni che lo hanno portato alla stesura del libro.

Pietro Masala, riflettendo sulle pagine di Don Bruno, ha sottolineato il cambio di prospettiva che la società attuale potrebbe affrontare:

<< In questo momento abbiamo come cattolici difficoltà a capire dove stare. Questo libro mette come punto di partenza una frase che mi è piaciuta molto: “Il problema nel nostro tempo non è un partito di riferimento per i cattolici, ma formare credenti che si pensino al servizio degli ultimi”. E citando don Mazzolari: “siate grandi come la povertà che rappresentate”. È un capovolgimento. Come dire, attenzione, non stiamo a guardare il sondaggio, non stiamo a guardare che cosa ci conviene, non stiamo a ragionare per forza in termini di alleanze. Ripartiamo da un discorso diverso. Ripartiamo dalla povertà, ripartiamo dagli ultimi, dalla fraternità. Prendiamoci tempi lunghi. C’è un altro passaggio che mi è piaciuto molto. È una citazione di uno dei principi della pace sociale di Papa Francesco, che afferma che il tempo è superiore allo spazio. Cioè l’idea che in questo momento non è importante per forza occupare uno spazio, mettere una bandierina, collocarci, ma prendere tempo. Non inseguire appunto il consenso, non pensare al sondaggio, alle elezioni, ma spostare completamente il piano della riflessione e questo mi sembra in qualche modo la ricetta che propone quest’opera per affrontare questi momenti difficili anche per noi. Aggiungo che è un libro scritto molto bene, si legge in maniera fluida. Uno scritto che ha la capacità di essere denso di contenuti. Mi verrebbe da dire che non si butta davvero via nulla, ma allo stesso tempo è leggero. Leggero nel senso buono, nel senso che scorre senza pesantezza. Personalmente ho anche apprezzato la scelta dell’autore di alternare una prima parte teorica legata ai principali contenuti della dottrina sociale e anche delle encicliche di Papa Francesco, a una parte invece più evocativa delle biografie di alcuni personaggi, alcuni noti, altri meno. Leggere quella teoria poi incarnata nella seconda parte ti dà l’idea al punto che non sono solo parole ma è possibile incarnare, vivere concretamente ciò che è stato scritto>>.

Chiara Canu, nel suo intervento, ha ripreso invece le storie di Tina Anselmi e Maria Letta Martini, le due donne citate nelle pagine del libro:

<< Credo che basti davvero poco a volte nell’immedesimarsi nei panni degli altri e soprattutto penso che sia necessario in questo momento storico che i politici in generale, destra, sinistra, centro, allenino l’empatia. È una cosa che manca e che purtroppo ha necessità di essere sviluppata, soprattutto per le nuove generazioni. I ragazzi hanno necessità di persone che li capiscano e questo è un invito alla classe politica e a tutti noi che abbiamo la fortuna di poter dire la nostra opinione perché, se noi abbiamo i diritti che abbiamo non è solo merito nostro ma di qualcuno che ha lottato per farcela avere. Ecco, un buon modo per far riavvicinare le persone alla politica è fare in modo che tutti possano avere quel barlume di libertà che tanto abbiamo desiderato. Questa è una lettura che apre la mente, in grado di farti capire cose che non hai vissuto. Un libro con una forte valenza commemorativa. Una delle parti che più ho potuto apprezzare è quella dove vengono citate Tina Anselmi e Maria Letta Martini, due figure che non sono neanche citate nella pagina del governo e sono tra quelle che hanno lottato per la legge, per l’obiezione di coscienza dal servizio militare. Ecco, credo che sia giusto parlarne perché sono donne dimenticate, come la maggior parte purtroppo nella storiografia e nella letteratura moderna. Don Bruno ha dato loro un nuovo volto, e quindi io consiglio questa lettura per chi vuole continuare ad aprire gli occhi continuamente su chi ha lavorato per noi>>.

Le conclusioni di Don Bruno Bignami:

<< Talvolta, di questi tempi, le ideologie ci prendono talmente tanto che ci ritroviamo su una bolla, non siamo più dentro alla realtà. Abbiamo bisogno di recuperare invece una visione di umanità profonda e di avere il valore profondo dell’umanità. Noi dobbiamo custodire, e la politica ha questo compito, e lo dobbiamo ridire, perché possiamo il rischio è di costruire anche grandi tragedie. Dobbiamo sempre invece custodire il valore dell’umano, della persona, chiunque essa sia, in qualunque condizione, dall’inizio, nelle fasi di vita, fino alla fine. Custodire la vita, custodire l’umano. Perché questo ne va della nostra umanità. Non solo custodisci l’altro, il povero, ma ne va della tua umanità. Perché, se io mi prendo cura del povero, accresco e faccio crescere la mia umanità. Questo è fondamentale. Abbiamo bisogno di questo, di non rassegnarci>>.

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L’intervento dell’arcivescovo Gian Franco Saba

«Credo di interpretare il sentimento di tutti nel ringraziare Don Bruno, che oltre a essere un caro amico, con il quale ci conosciamo da tanto tempo, è anche direttore dell’Ufficio CEI per i Problemi sociali e il lavoro, docente universitario e impegnato su diversi fronti della riflessione in questo momento storico. Lo ringraziamo per la sua presenza e per la sua generosità. Peraltro, come diocesi abbiamo anche un legame particolare con la sua terra, il Cremonese: poche settimane fa sono stato a Soncino, paese natale di Padre Manzella, e a Vailate per ricordare l’arcivescovo Cleto Cassani, che è stato un bravo pastore nella nostra diocesi. I cremonesi a Sassari fanno sempre bene!

Ringrazio e saluto anche il sindaco, la cui presenza è molto significativa. Credo che l’équipe diocesana per i problemi sociali e il lavoro sia ben rappresentata questa sera.

Come diceva don Bruno, abbiamo in programma l’avvio di un percorso di formazione sulle questioni sociali e politiche, rivolto a diversi soggetti e figure. Perciò, approfitteremo della sua disponibilità per averlo nuovamente con noi, in occasione dell’inaugurazione di questo percorso, che è già oggetto di studio da parte del Comitato scientifico e dell’équipe per le questioni sociali.

Don Bruno, nella sua riflessione, ha toccato molteplici temi, ma desidero soffermarmi in particolare sullo sguardo verso la città, su Sassari che cerca la sua vocazione. Come sapete, questo tema mi è molto caro come pastore della Chiesa turritana e come interlocutore delle istituzioni. È un tema presente in tutte le mie lettere pastorali.

Credo che stiamo vivendo un passaggio storico fondamentale per l’equilibrio non solo della città, ma di un territorio rilevante della Sardegna. Sassari deve rispondere alla sua vocazione odierna, rimanendo fedele alle proprie radici, come ha sottolineato don Bruno. La via della formazione mi sembra particolarmente adatta a questo scopo, perché la città e la diocesi presentano un laicato significativo, come dimostra la brillante risposta al processo sinodale.

Questa risposta è stata vivace, pronta e desiderosa di percorsi nuovi. È un segno importante per guardare la realtà e partire dal basso. Abbiamo il compito e la vocazione di non spegnere questi germogli di vita e di presenza.

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Poco fa ho partecipato a una celebrazione in memoria del Beato Padre Francesco Zirano, sassarese, martire ad Algeri per la liberazione degli schiavi. Abbiamo parlato di tante forme di schiavitù. Se nel Seicento vi erano schiavi in senso letterale, tra la fine dell’Ottocento e il Novecento Sassari ha scritto una storia di santità sociale di grande valore.Guardando la nostra storia, dobbiamo avere uno sguardo contemplativo sulla città. 

Trovo significativo leggere le lapidi nei cimiteri, non perché abbia il culto della morte, ma perché esse raccontano la storia di un territorio e delle sue comunità, dai paesi più piccoli alle città più grandi.

 Suscitare nuove leadership è un impegno che ci riguarda tutti. Nella mia visita pastorale ho incontrato sindaci che hanno vissuto stagioni diverse, e questa dimensione narrativa della Visita pastorale è fondamentale, perché permette di comprendere i processi di un territorio e di un contesto. È un aspetto da valorizzare, soprattutto in chiave intergenerazionale, con un’attenzione particolare ai giovani, affinché crescano in una nuova politeia. Per questo sono grato per il dialogo sereno che in questi anni si è instaurato con le istituzioni.

In questo momento, la formazione è un tema centrale. Penso, ad esempio, alla riapertura del Marianum e del Mazzotti, strutture che in una città universitaria come Sassari non possono restare inattive. La Chiesa diocesana ha il dovere di offrire ai giovani una proposta formativa di ispirazione cristiana.

Non possiamo ignorare questo vuoto, questa assenza. Certo, non sarà ciò che è stato in passato, ma sarà ciò che deve essere per il presente e per il futuro. Così come è importante il Rifugio “La Madonnina”, luogo di incontro per la comunità, perché senza incontro non c’è possibilità di formare un corpo ecclesiale.

Dobbiamo creare spazi di incontro che diventino punti di riferimento per più realtà, in un sano pluralismo. Questo è un valore da trasmettere anche alle nuove generazioni.

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Forse, il cortocircuito di un progetto così importante, legato all’Università Cattolica e ad altri Centri di eccellenza, richiede un esame di coscienza. Non in senso moralistico, ma per vigilare sul futuro e sulle sfide indicate da DonBruno. La tentazione del clericalismo, che genera circuiti chiusi, è sempre in agguato, e questo non è generativo né positivo.

In tutto questo, non posso che esprimere gratitudine e incoraggiare a proseguire in una logica di partecipazione. Ognuno ha qualcosa da offrire, dal più anziano al più giovane. È questa la logica che dobbiamo coltivare.

Con questo pensiero, salutiamo don Bruno con un arrivederci, mentre all’équipe scientifica chiediamo di accelerare l’agenda».



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