Un CERN per l’AI: scommessa impossibile per l’Europa?

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Nei primi giorni della presidenza Trump, gli Stati Uniti hanno intrapreso alcune azioni dirompenti riguardo all’intelligenza artificiale, segnando un netto distacco dalla politica dell’amministrazione Biden.

Le primissime mosse di Trump sull’AI

Il presidente Trump ha infatti revocato l’Executive Order sull’AI, emesso dalla precedente amministrazione, che aveva stabilito linee guida per promuovere l’adozione di standard etici, di sicurezza e di trasparenza nello sviluppo delle tecnologie di intelligenza artificiale. La decisione di annullare l’ordine esecutivo è stata giustificata dalla convinzione che tali regolamenti fossero un freno all’innovazione e alla crescita delle industrie tecnologiche statunitensi, ponendo l’accento sul fatto che l’America non poteva permettersi di rallentare in un campo così strategico. Inoltre, Trump ha annunciato che il governo avrebbe preparato un nuovo piano d’azione sull’AI, il cosiddetto AI Action Plan, da presentare entro 180 giorni, senza però specificare in che misura avrebbe mantenuto o modificato le misure previste in ambito di regolamentazione etica e di sicurezza.

Il progetto Stargate e i suoi obiettivi

Subito dopo questa mossa, è stato presentato il progetto Stargate, un’iniziativa che prevede investimenti straordinari nelle infrastrutture per l’AI, pari a 500 miliardi di dollari distribuiti in 4 anni. Questo piano ambizioso, che partirà nel 2025 con un finanziamento iniziale di 100 miliardi di dollari, avrà come principali protagonisti OpenAI, Oracle e SoftBank, tre giganti privati del settore tecnologico, e si concentrerà sulla costruzione di data center avanzati in grado di supportare l’espansione rapida dell’intelligenza artificiale in settori chiave come la sanità, la difesa e la manifattura. L’obiettivo dichiarato degli Stati Uniti è di consolidare la leadership globale in campo AI, creando una rete di infrastrutture capaci di accelerare l’adozione di soluzioni AI su larga scala.

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Possibili cambiamenti nella protezione della privacy negli Usa

Al contempo, voci sempre più insistenti riportano che l’amministrazione Trump stia considerando la possibilità di ridurre notevolmente i poteri del Privacy and Civil Liberties Oversight Board (PCLOB), l’organismo che vigila sulla protezione della privacy e dei diritti civili dei cittadini, in particolare quelli europei che utilizzano i servizi delle principali Big Tech americane, come Google, Meta e Amazon, in conformità con le normative europee come il GDPR. Le implicazioni di un tale provvedimento potrebbero essere devastanti per la protezione dei dati personali degli utenti europei, consentendo alle grandi aziende tecnologiche americane di eludere più facilmente i vincoli imposti dalle autorità europee.

Insomma, sul fronte dell’intelligenza artificiale, gli Stati Uniti sembrano intenzionati a perseguire un’agenda di sviluppo estremamente assertiva, basata principalmente su investimenti privati e sull’abbattimento di qualsiasi ostacolo normativo che possa rallentare il progresso tecnologico.

La proposta europea di un Cern dell’AI

Di fronte a queste notizie, le istituzioni e l’opinione pubblica europea appaiono smarrite: l’urgenza di reagire per colmare il divario tecnologico che si è creato nell’ultimo decennio è ormai evidente, ma allo stesso tempo si mantiene una forte convinzione nella necessità di regolamentare e orientare il “meteorite” dell’AI che ci sta cadendo addosso.

In questo contesto, una proposta che periodicamente emerge nel dibattito pubblico è quella di creare il ‘CERN dell’AI’, un centro di ricerca europeo dedicato all’intelligenza artificiale. L’idea, promossa da più parti nel panorama politico e accademico, rappresenterebbe non solo un’opportunità per l’Unione Europea di assumere una posizione di leadership tecnologica globale, ma anche un’occasione per consolidare un modello di sviluppo che rispetti i principi democratici, etici e costituzionali che sono il cuore pulsante dell’Europa. Il riferimento al CERN, centro di eccellenza internazionale per la ricerca nucleare, sottolinea l’ambizione di questo progetto: creare una vera e propria “unione” di sforzi scientifici e tecnologici che possa competere con le potenze tecnologiche mondiali, come Stati Uniti e Cina, ma in un’ottica orientata alla tutela dei diritti umani, della privacy e delle libertà individuali.

L’urgenza di tale iniziativa è stata recentemente ribadita da Giorgio Parisi, Premio Nobel per la Fisica, che ha sottolineato come l’Europa debba sviluppare capacità autonome nell’ambito dell’AI per svincolarsi dalla dipendenza dai giganti tecnologici globali. Parisi ha evidenziato il rischio che l’Europa, se non intraprende azioni decisive, possa rimanere intrappolata in un ruolo di subalternità tecnologica, incapace di influenzare le grandi scelte in un settore cruciale per il futuro. La creazione di un centro di ricerca come il CERN dell’AI, quindi, non sarebbe solo una risposta a un bisogno tecnologico, ma una vera e propria mossa geopolitica, con l’obiettivo di riaffermare la sovranità tecnologica dell’Europa.

Le raccomandazioni del Rapporto Draghi

Questa prospettiva si allinea con le raccomandazioni contenute nel Rapporto Draghi, presentato nel 2024 e redatto da un gruppo di esperti sotto la guida dell’ex-presidente del Consiglio italiano. Il Rapporto sollecita l’Unione Europea a investire in poli di eccellenza in grado di integrare innovazione tecnologica, ricerca scientifica e competitività economica, al fine di contrastare il predominio delle grandi potenze tecnologiche e posizionarsi come un attore di riferimento nel panorama globale dell’AI. Secondo il Rapporto, l’Europa ha tutte le carte in regola per diventare un leader mondiale nel campo dell’AI, ma solo se sarà in grado di costruire alleanze strategiche, sostenere l’innovazione e, soprattutto, garantire una regolamentazione etica che preservi la centralità dell’essere umano in un contesto tecnologico sempre più complesso.

Infrastrutture e politiche per il CERN dell’AI

In questo scenario, la creazione di un CERN dell’AI rappresenterebbe dunque non solo un investimento in ricerca, ma anche un simbolo di una nuova visione dell’Europa come motore di progresso tecnologico responsabile, capace di orientare l’evoluzione dell’AI verso modelli che non mettano in discussione i diritti fondamentali dei cittadini e la giustizia sociale.

L’idea di un CERN europeo per l’AI si inscrive in una visione più ampia di rafforzamento dell’ecosistema tecnologico europeo, che mira a colmare il divario tra l’Europa e le principali potenze tecnologiche mondiali, come Stati Uniti e Cina. Questo centro di ricerca sarebbe un polo multiculturale e interdisciplinare, in grado di ospitare i migliori ricercatori europei e internazionali, offrendo loro infrastrutture all’avanguardia, risorse finanziarie e condizioni di lavoro ottimali. L’obiettivo primario sarebbe sviluppare un’intelligenza artificiale che sia inclusiva, affidabile e umanocentrica, allineata ai valori democratici e ai principi di protezione dei diritti fondamentali, elementi che definiscono l’identità dell’Europa.

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Come rendere realizzabile il CERN dell’AI: i possibili ostacoli

Tuttavia, affinché questa visione diventi realtà, è essenziale interrogarsi su come rendere concretamente realizzabile il CERN dell’AI e su quali benefici potrebbe apportare all’ecosistema tecnologico europeo.

La collocazione del centro: una corsa a due Parigi-Zurigo?

Un primo aspetto da considerare riguarda la collocazione del centro: in quale dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea sarebbe più opportuno stabilirlo? La scelta del sito non può essere casuale, in quanto la presenza di una massa critica di ricercatori di alto livello, unita a condizioni favorevoli agli investimenti privati e a un territorio dotato di infrastrutture moderne, è fondamentale per lo sviluppo di distretti dell’AI di successo. La dinamica del distretto tecnologico, come mostrano chiaramente le esperienze di Parigi e Zurigo, ha un impatto diretto e significativo sull’economia di una nazione, contribuendo al suo PIL, creando posti di lavoro altamente qualificati e stimolando l’innovazione in vari settori.

Parigi, in particolare, è emersa come un nodo centrale nel panorama europeo dell’AI grazie a politiche di supporto alla ricerca e agli investimenti. L’iniziativa ‘Choose Paris’, uno degli ecosistemi dell’AI più dinamici in Europa, ha visto la convergenza di università, centri di ricerca, startup e grandi imprese tecnologiche. La strategia nazionale di AI della Francia, che punta a rafforzare il paese come leader in settori come la sanità, la mobilità intelligente e la sicurezza cibernetica, ha catalizzato un flusso di investimenti privati e pubblici. Parigi si è così trasformata in un hub europeo, attirando talenti da tutto il mondo e diventando una delle destinazioni preferite per le aziende che vogliono sviluppare soluzioni di AI avanzate. La città beneficia anche di un ecosistema di incubatori, acceleratori di startup e fondi di venture capital, che alimentano l’innovazione e la crescita economica.

Anche Zurigo è un esempio di come un distretto tecnologico dedicato all’AI possa diventare un motore di innovazione. La ETH Zurich (Scuola Politecnica Federale di Zurigo), una delle università più prestigiose al mondo, è al centro di un ecosistema AI che coinvolge sia il settore pubblico che quello privato. L’AI Center dell’ETH, insieme a numerose startup e aziende, ha attratto ingenti investimenti in ricerca, sviluppando applicazioni di AI in ambiti come la finanza, la robotica e la biotecnologia. Zurigo, inoltre, beneficia di un’eccellente qualità della vita, di un sistema di incentivazione fiscale per le imprese e di una forte tradizione nella ricerca scientifica, che la rendono una delle città più attraenti per i talenti tecnologici e per gli investitori.

Questi due esempi mettono in evidenza la complessità della scelta del luogo per un potenziale CERN dell’AI. La possibilità di ospitare un centro di tale portata richiede un ecosistema solido e integrato di ricerca, industria e investimenti, ma anche un equilibrio geopolitico che tenga conto delle priorità economiche, strategiche e politiche di ogni Stato membro dell’UE.

La competizione tra Stati membri potrebbe rivelarsi un ostacolo significativo

La crescente importanza dell’AI, infatti, non è solo una questione tecnologica, ma anche economica e geopolitica. Ogni Paese potrebbe avere delle priorità diverse, con alcuni che potrebbero temere una concentrazione eccessiva di risorse in un unico centro, mentre altri potrebbero voler ospitare il progetto per attrarre talenti e investimenti. Sarebbe davvero possibile trovare un accordo in Europa sulla collocazione di un singolo centro di ricerca sull’AI? La competizione tra Stati membri potrebbe rivelarsi un ostacolo significativo: un modello decentrato, che preveda più centri di eccellenza sparsi per l’Europa, ma che mantenga un forte coordinamento a livello di politiche comuni di ricerca e governance, potrebbe forse avere maggiori possibilità di successo.

Le infrastrutture da mettere a disposizione dei ricercatori

Un altro tema cruciale riguarda le infrastrutture da mettere a disposizione dei ricercatori, che nel caso dell’AI sono rappresentate principalmente dai data centers e dai database. Se da un lato il CERN ha bisogno di un’infrastruttura fisica centralizzata, dove la vicinanza geografica all’acceleratore di particelle è fondamentale per la realizzazione degli esperimenti, la natura stessa della ricerca in AI è meno vincolata a questa esigenza di prossimità fisica. La ricerca in AI, infatti, può beneficiare in maniera significativa di accessi remoti a supercomputer e database distribuiti globalmente, una modalità che permette una collaborazione transnazionale più fluida e immediata, soprattutto in un’era in cui il cloud computing ha reso possibile il collegamento a risorse informatiche avanzate senza la necessità di spostamenti fisici.

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L’esempio virtuoso della politica di investimenti nelle infrastrutture di calcolo ad alte prestazioni (HPC)

In questo scenario, l’Unione Europea ha compiuto un passo significativo, avviando una politica di investimenti nelle infrastrutture di calcolo ad alte prestazioni (HPC), finalizzata a rendere disponibili ai ricercatori europei strumenti di elaborazione dati all’avanguardia, necessari per le ricerche in intelligenza artificiale. Negli ultimi anni, infatti, sono stati sviluppati e distribuiti in diverse nazioni europee alcuni dei più potenti supercomputer del mondo, che oggi sono con siderati tra i migliori per la simulazione di processi complessi e l’elaborazione di enormi moli di dati. I cinque principali HPC dell’Europa sono localizzati in Francia, Germania, Spagna, Italia e Finlandia. Questi centri, che fanno parte di una rete infrastrutturale distribuita, sono un esempio di come l’Europa stia cercando di consolidare la sua posizione nel panorama globale delle tecnologie digitali avanzate, con un’infrastruttura che offra una copertura capillare e accessibile in tutta la regione. È una delle storie di maggior successo dell’UE nel campo digitale, che evidenzia la capacità di collaborare e condividere risorse tra Stati membri, rafforzando così la competitività tecnologica dell’Europa a livello globale.

Cern dell’AI e infrastrutture HPC già esistenti: un confronto Ue-Usa

A questo punto, però, si pone una domanda fondamentale: quali vantaggi potrebbe offrire una nuova infrastruttura computazionale centralizzata per la ricerca sull’AI, come il proposto CERN dell’AI, rispetto alle infrastrutture HPC già esistenti? Se guardiamo gli Stati Uniti, dove la rete di data centers è tra le più sviluppate al mondo, possiamo trarre alcune riflessioni sul confronto tra l’infrastruttura europea e quella statunitense. Le Big Tech americane come Google, Amazon, Microsoft e Facebook gestiscono una vasta rete di data centers distribuiti a livello globale, che alimentano non solo i loro servizi, ma anche l’AI in ambito commerciale e scientifico. Tuttavia, mentre le infrastrutture americane sono dominate da attori privati, che perseguono principalmente obiettivi di profitto e scalabilità, l’approccio europeo è molto più pubblico e collaborativo, mirando a garantire l’accesso universale alle risorse informatiche per la ricerca scientifica, l’innovazione e il progresso sociale. La presenza di una rete distribuita di HPC europei consente anche una maggiore decentralizzazione delle risorse, riducendo il rischio di concentrazione dei dati e garantendo una migliore sicurezza e sovranità digitale. In un contesto europeo, quindi, la rete distribuita di supercomputer HPC ha il potenziale di supportare una ricerca AI equa e sostenibile, in grado di affrontare sfide globali come il cambiamento climatico, la salute pubblica e la sicurezza.

I vantaggi della creazione di un sistema federato di banche dati

Un possibile elemento distintivo di un CERN dell’AI europeo potrebbe risiedere nell’accesso a risorse uniche ed esclusive, come banche dati federate e piattaforme tecnologiche avanzate, la cui realizzazione potrebbe diventare una delle missioni centrali del centro stesso. Un centro europeo dedicato all’AI potrebbe infatti trasformarsi in un hub globale per una federazione di dati condivisi, indispensabili per alimentare la ricerca, la collaborazione transnazionale e l’innovazione. La creazione di un sistema federato di banche dati, che consenta di accedere a dati diversificati e di alta qualità provenienti da vari settori (sanità, mobilità, ambiente, energia, etc.), sarebbe cruciale per sviluppare modelli AI avanzati, che possano rispondere a sfide globali e locali in modo efficace e innovativo. Questo approccio potrebbe essere fondamentale per garantire che le risorse necessarie per il progresso dell’AI non siano concentrate nelle mani di pochi attori privati, ma siano accessibili a una vasta gamma di ricercatori e innovatori, in un’ottica di equità e sostenibilità.

Criticità della governance federata dei dati

Tuttavia, la governance federata dei dati solleva una serie di questioni critiche, che devono essere affrontate con attenzione. La principale sfida riguarda la gestione dei dati sensibili e la garanzia di accesso equo. È fondamentale assicurarsi che le risorse siano accessibili a tutti gli attori, senza che vi siano disparità tra i ricercatori provenienti da Paesi o istituzioni più o meno sviluppati. In questo contesto, le politiche nazionali di gestione dei dati dovrebbero essere armonizzate in modo da evitare conflitti legali o normativi. Un aspetto cruciale da tenere in considerazione riguarda la conformità al GDPR (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati), che è una pietra miliare della normativa europea in materia di privacy e protezione dei dati personali. Le banche dati federate dovrebbero essere progettate in modo da garantire che tutti i dati raccolti e utilizzati rispettino i principi di protezione dei dati sanciti dal GDPR, il quale stabilisce che i dati personali devono essere trattati con trasparenza, limitazione dello scopo e sicurezza. Inoltre, la creazione di un sistema federato di banche dati richiede anche il rispetto della sovranità digitale. Ogni Paese europeo avrà le sue leggi sulla protezione dei dati, ma anche sulle politiche di condivisione dei dati tra entità pubbliche e private. La sovranità digitale implica che ciascun Stato abbia il controllo sui dati generati e raccolti nel proprio territorio, pur consentendo la collaborazione internazionale. La federazione di dati tra Stati membri richiede una governance multilivello, che bilanci il bisogno di collaborazione internazionale con il rispetto delle normative locali, in modo da evitare l’emergere di frammentazioni legali o politiche che potrebbero ostacolare l’innovazione.

La gestione della proprietà intellettuale nell’AI

Un’altra area fondamentale da considerare è la gestione della proprietà intellettuale (PI), che è intimamente legata alla creazione e diffusione dell’innovazione all’interno di un centro di ricerca come il CERN dell’AI. Immaginiamo che un ricercatore sviluppi un’innovazione significativa durante un periodo di permanenza presso il centro. A chi spetterebbe la titolarità del brevetto o dei diritti di proprietà intellettuale associati? Se l’innovazione fosse il risultato di una collaborazione tra istituzioni europee e internazionali, come dovrebbe essere regolata la titolarità?

Qui emerge una delle principali questioni normative che dovrebbero essere risolte a livello europeo. Potrebbe esserci il rischio che, in assenza di un quadro giuridico comune, la gestione della proprietà intellettuale diventi complessa e disomogenea. A chi spetterebbe la proprietà del brevetto: al CERN dell’AI o all’istituto di appartenenza del ricercatore? E qual è il ruolo delle nazioni di provenienza in questo scenario? Quali leggi regolano la distribuzione dei diritti di PI tra ricercatori, istituti di ricerca e Paesi? Questo solleva una domanda fondamentale per il futuro della ricerca in un contesto internazionale: come bilanciare gli interessi del ricercatore, delle istituzioni ospitanti e delle nazioni di provenienza? Un quadro normativo armonizzato a livello europeo potrebbe essere necessario per definire chiaramente i diritti di PI, e per stabilire linee guida su come questi possano essere utilizzati per la creazione di spin-off e start-up innovative. Tali regolamentazioni dovrebbero favorire un ecosistema di innovazione aperta e incentivare la creazione di valore non solo per le università e i centri di ricerca, ma anche per le economie locali e regionali.

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In un’ottica di governance federata, la creazione di un sistema di gestione dei dati e della proprietà intellettuale dovrà essere flessibile, ma anche chiara e coerente a livello europeo, per garantire che tutte le parti coinvolte – dai ricercatori agli investitori, dalle università alle istituzioni pubbliche – possano operare in un contesto di fiducia, trasparenza e sostenibilità. Solo con un quadro giuridico e normativo armonizzato sarà possibile costruire una rete di innovazione che non solo promuova l’avanzamento tecnologico, ma che rispetti anche i diritti fondamentali, la privacy e la giustizia sociale.

Il ruolo dei ricercatori e la mobilità scientifica

Infine, questo ultimo punto ci porta a una riflessione più ampia sulla gestione dei ricercatori che potrebbero lavorare al CERN dell’AI: l’ambizione sarebbe quella di attrarre in Europa nuovi esperti, magari tra quelli che sono già migrati verso altri continenti, o di creare un hub temporaneo che ospiti i migliori ricercatori di AI d’Europa per periodi di durata variabile, promuovendo la mobilità scientifica e la collaborazione internazionale? Se l’obiettivo fosse il secondo, cioè quello di creare un centro in grado di ospitare periodicamente i ricercatori di AI più talentuosi da tutta Europa, si rischierebbe di creare criticità rilevanti per i Paesi di provenienza di questi esperti, in particolare quelli più sviluppati tecnologicamente, ma anche quelli che ancora faticano a formare un’adeguata base di competenze universitarie e di ricerca nel settore dell’AI. Il rischio, infatti, è che un centro europeo di questo tipo possa esacerbare la fuga dei cervelli, già un fenomeno preoccupante in Europa. Molti ricercatori e laureati di alto livello, soprattutto nelle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), scelgono infatti di trasferirsi in paesi dove la competitività salariale è più alta e dove esistono condizioni di ricerca più favorevoli, come negli Stati Uniti o in alcune nazioni asiatiche. Questi paesi, grazie a un forte investimento in tecnologie emergenti e infrastrutture di ricerca, sono in grado di attrarre talenti globali e di creare ecosistemi dinamici che stimolano innovazione continua. La creazione di un CERN dell’AI in Europa potrebbe, da un lato, mitigare questo fenomeno, diventando un punto di attrazione per ricercatori europei e internazionali, ma dall’altro rischia di avere un impatto sui Paesi di origine dei ricercatori, soprattutto quelli che già lottano per mantenere il passo con la domanda di competenze avanzate in AI.

La sfida che l’Europa si trova ad affrontare non riguarda solo l’attrazione di talenti, ma anche la ritenzione dei ricercatori sul lungo periodo, garantendo che una volta tornati nei loro Paesi di origine, possano avere l’opportunità di applicare le loro competenze all’interno di sistemi di ricerca e industrie locali ben sviluppati. È essenziale che i Paesi europei adottino politiche di formazione continua e supporto post-dottorato, per evitare che il ritorno dei ricercatori finisca per avere un impatto marginale o addirittura negativo sulle istituzioni educative locali, che potrebbero non essere in grado di sfruttare appieno il valore delle competenze acquisite all’estero. Un centro come il CERN dell’AI potrebbe colmare questo vuoto, creando una sinergia tra università e industria che favorisca il flusso di competenze e il trasferimento tecnologico in tutta Europa.

Infine, un aspetto strategico legato alla creazione di un centro simile sarebbe la costruzione di un ecosistema dell’innovazione che segua il modello del CERN, ma adattato al contesto dell’AI. La creazione di questo ecosistema potrebbe stimolare la crescita di startup e spin-off, che sarebbero in grado di applicare e commercializzare le scoperte scientifiche fatte all’interno del centro. Gli stati membri finanziatori, attraverso una politica fiscale incentivante, potrebbero beneficiare di un significativo indotto economico derivante dalle nuove imprese tecnologiche che nasceranno attorno al centro, contribuendo a un rafforzamento dell’economia digitale europea. La collaborazione tra pubblico e privato potrebbe anche permettere di sviluppare nuovi modelli di business basati sull’AI, che coinvolgano attivamente industrie tradizionali e startup tecnologiche. Inoltre, un’economia dell’AI robusta non solo attrarrebbe capitali, ma stimolerebbe anche una rivoluzione digitale che potenzialmente impatterebbe ogni settore, dall’agricoltura alla sanità, dalla mobilità alla produzione industriale, rafforzando così la competitività globale dell’Europa nel lungo periodo.

In questo contesto, non sarebbe solo importante attrarre talenti dall’estero, ma anche creare politiche di mantenimento e valorizzazione delle risorse umane in Europa, promuovendo un ciclo virtuoso che porti alla fioritura di ecosistemi digitali distribuiti in grado di creare lavoro, valore aggiunto e innovazione. La capacità di attrarre professionisti altamente qualificati, sostenendo al contempo la crescita di competenze interne, sarebbe la chiave per superare la fuga dei cervelli e posizionare l’Europa come un leader globale nell’AI e nelle tecnologie avanzate.

Visione strategica per l’Europa nell’AI

Queste riflessioni evidenziano in maniera inequivocabile la differenza tra il modello europeo e i poli tecnologici di Stati Uniti e Cina. Gli Stati Uniti puntano su una leadership tecnologica dominata da grandi aziende private, mentre la Cina adotta un modello di controllo statale centralizzato. L’Europa ha avuto fino ad ora l’ambizione di costruire un paradigma alternativo, basato sull’equilibrio tra innovazione tecnologica e tutela dei diritti fondamentali. Bisogna però prendere piena coscienza del fatto che realizzare un centro europeo sull’AI richiede un modello di governance chiaro e trasparente, dove la creazione di un consorzio tra istituzioni accademiche, industrie tecnologiche e governi nazionali potrebbe rappresentare una soluzione efficace, e dove la storia di successo dell’HPC europeo sembra suggerire che una rete di più istituti distribuiti possa essere una soluzione di più facile realizzazione e di maggiore impatto. La sfida è bilanciare le esigenze pratiche della ricerca con una visione normativa e politica che rispecchi i valori europei. In un contesto globale dominato da dinamiche polarizzanti, l’Europa ha l’opportunità di guidare un cambiamento positivo, dimostrando che innovazione e diritti possono e devono coesistere. È però ineludibile ormai guardare in alto: il meteorite sta arrivando.



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