“Chiediamo un confronto e un riferimento istituzionale che abbia la capacità e il potere di decidere di investire sul professionista, anzichè sul sistema“. Con queste parole Pierino Di Silverio, segretario nazionale Anaao Assomed, spiega a Fortune Italia le ragioni della protesta dei medici italiani, che hanno annunciato una grande manifestazione unitaria in programma per maggio a Roma.
‘Investire sui medici per salvare il Ssn’ è lo slogan scelto dai sindacati per chiamare a raccolta tutti i medici, dipendenti e convenzionati, insieme ai pediatri di libera scelta, agli specialisti ambulatoriali, ai dottori del territorio e agli specializzandi. “Cerchiamo un colloquio e un confronto con i cittadini, per spiegare loro che non siamo carnefici ma vittime, proprio come loro, di una disgregazione del sistema di cure che ormai va avanti da 15 anni”, continua il numero uno di Anaao.
Il pacchetto di proteste
In attesa della grande manifestazione dei medici, in tutte le Regioni saranno organizzate varie iniziative intersindacali per sensibilizzare i professionisti, hanno fatto sapere Anaao Assomed – Cimo-Fesmed – Als – Gmi – Fimmg – Fimp – Sumai – Smi – Snami – Ftm. Una mossa annunciata nel finesettimana ma che non sorprende, perchè il malcontento dei camici bianchi non è un segreto. E, soprattutto, che incassa il sostegno della Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei medici) e la partecipazione di Cittadinanzattiva.
Le richieste dei sindacati
“Non è solo una questione economica, ma di riforma di un sistema che proprio non riesce a reggere, se non grazie ai professionisti, il peso del cambio della richiesta di cura e e del cambio di patologia”, puntualizza ancora Di Silverio”. Per i sindacati occorre ripartire dai professionisti, ormai da tempo in fuga dalla sanità pubblica.
Tra le richieste dei sindacati, la definizione di atto medico, una revisione della responsabilità medica, l’adozione di misure volte a rendere attrattiva e a riqualificare la professione, sicurezza sui luoghi di lavoro, un rapporto medico-paziente rinsaldato, la messa a punto di un nuovo Patto per la salute e l’adozione di un approccio “One Health”.
D’altronde la questione della colpa medica ha radici antiche. “Veniamo giudicati da ben quattro tribunali che agiscono parallelamente e sono indipendenti l’uno dall’altro di cui il peggiore è quello mediatico. Una denuncia a carico di un medico equivale a una condanna senza processo, anche se nel 97% dei casi il medico è innocente.
Chiediamo quindi di depenalizzare l’atto medico per rendere i professionisti più sicuri come peraltro avviene resto del mondo per rendere le cure sicure”, ribadisce il leader Anaao.
Per Guido Quici, presidente della Federazione Cimo-Fesmed, “l’attuale anarchia dei ruoli e i ripetuti attacchi alla nostra professione sono inaccettabili e mettono a rischio la sicurezza delle cure”.
La questione dei compensi
Naturalmente c’è anche una ‘questione compensi’, che rende meno attrattiva la professione. “Un medico intorno ai 50 anni”, dunque dopo 10 anni di studi e una ventina di lavoro in corsia, “guadagna intorno ai 3.000-3.200 euro al mese massimo”, dice Di Silverio.
Parla di retribuzioni inadeguate in relazione alle responsabilità e ai ruoli anche Antonio Magi, segretario generale Sumai Assoprof. Gli stipendi dei medici “non riflettono il valore del lavoro svolto dai professionisti della salute, evidenziando l’importanza di garantire compensi equi per attrarre e mantenere talenti nel settore. Anacronistico è il regime delle incompatibilità, soprattutto in un contesto in cui si fa fronte a una crescente carenza di medici specialisti. È dunque necessaria una revisione delle normative esistenti che potrebbe contribuire a migliorare la situazione, permettendo ai medici di operare in modo più flessibile e di rispondere meglio alle esigenze del sistema sanitario e dei pazienti”.
Per i giovani medici e sanitari c’è, poi, la questione della formazione specialistica: parliamo di 40.000 giovani professionisti che attualmente, unici in Europa, sono inquadrati come studenti e non come professionisti, conservando i doveri connaturati all’essere medico abilitato, comprese le responsabilità legali, senza i corrispettivi diritti e con una qualità formativa gravemente compromessa dalle carenze delle scuole sul piano formativo e didattico.
Il territorio e la digitalizzazione
Se in ospedale si sta male, fuori si sta (forse) peggio. I medici di famiglia lamentano “il paradosso di una digitalizzazione che, invece di sostenerlo, schiaccia il medico sotto la pressione della burocratizzazione informatica. Un tema che oggi affligge la medicina generale, ma che si allargherà presto a macchia d’olio a tutta la professione”, prevede Silvestro Scotti, segretario generale Fimmg.
Dal canto suo, il presidente Snami Angelo Testa ricorda come “sempre più cittadini sono costretti a pagare di tasca propria per accedere alle cure, mentre i medici dedicano oltre il 40% del loro tempo a una burocrazia inutile che li allontana dai pazienti. Chiediamo l’abolizione di note Aifa e piani terapeutici complessi, che rallentano le cure e aggravano il disagio di professionisti e cittadini. È il momento di difendere il diritto alla salute, ripristinando un sistema che metta al centro le persone e non gli interessi di pochi”.
La questione di genere
C’è infine una questione di genere in sanità, con la femminilizzazione della medicina ma anche una difficilissima conciliazione di tempi vita e lavoro, per non parlare della piaga delle aggressioni. “Le difficoltà che le donne medico, soprattutto quelle di medicina generale, vivono sulla loro pelle sono legate alla mancanza di tutele in materia di gravidanza e maternità, malattia, infortuni, alla difficoltà di conciliazione vita/lavoro. Occorre garantire questi diritti per far fronte alla crescente femminilizzazione della professione”, insiste Pina Onotri, segretario generale sindacato Medici Italiani (Smi).
Insomma, i nodi da sciogliere sono tanti e il malessere dei medici italiani sembra aver superato il livello di guardia.
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