Dario Amodei (Anthropic): vivremo il doppio entro un decennio

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Cosa fareste con un secolo in più di vita? Viaggereste? Imparereste 10 lingue? Scrivereste il romanzo del millennio? A Davos 2025, Dario Amodei, CEO di Anthropic, ha lanciato un’affermazione da brivido:

L’intelligenza artificiale raddoppierà la durata della vita umana entro il 2035.

“Non stiamo parlando di immortalità, ma di accelerare la ricerca medica di 100 anni in un decennio”, precisa Amodei. Il suo ragionamento si basa sulla capacità dell’IA di simulare 40.000 proteine in 10 secondi o progettare farmaci in settimane invece di decenni. Peccato che i biologi ridacchino: Stuart Jay Olshansky dell’Università dell’Illinois ci ricorda che nessun essere umano ha mai superato i 122 anni, e 150 potrebbe essere il limite massimo.

La sfida è chiara: anche se l’IA ottimizzasse ogni fase della ricerca, i limiti biologici rimarrebbero un muro invalicabile. “Possiamo riparare un’auto mentre viaggia a 200 km/h?”, chiede Olshansky.

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Davos 2025: tra utopie e scetticismo

Il World Economic Forum ha trasformato le Alpi svizzere in un palcoscenico per visioni iperboliche. Amodei non è il solo: fondi come Altos Labs (finanziato da Jeff Bezos) e Calico (di Google) stanno riversando miliardi nella ricerca anti-invecchiamento.

“Se pensate a cosa potremmo ottenere in 100 anni di studi sulla biologia, raddoppiare la vita umana non è folle. Con l’IA, potremmo arrivarci in 5-10 anni”, ha dichiarato il CEO durante il panel Tecnologia nel Mondo.

Ma i numeri raccontano un’altra storia: solo il 3,1% delle donne nate nel 2019 raggiungerà i 100 anni. Per raddoppiare l’aspettativa di vita, servirebbero 160 anni di media: un traguardo che neanche Jeanne Calment, la francese morta nel 1997 proprio alla fatidica età di 122 anni, ha sfiorato.

Non solo Dario Amodei: il paradosso dei miliardari immortali

C’è un motivo se i big della tech sognano l’allungamento vita umana: Peter Thiel, Bryan Johnson e Larry Page hanno investito in startup che cercano di “hackerare la morte”. Emma Morales, bioeticista a Stanford, nota:

È la nuova corsa all’oro. Ma quando parliamo di longevità, dovremmo chiederci: per chi? E a quale prezzo?.

L’ossessione ha radici profonde. Yuval Noah Harari nel saggio Homo Deus avvertiva: “L’immortalità potrebbe creare caste biologiche”. Intanto, progetti e “sogni” come quelli di Liz Parrish (Biotecnologa e “cavia” della sua startup) mostrano i rischi: nel 2024, un trattamento sperimentale su topi ha causato tumori aggressivi.

Limiti della scienza, ambizioni dell’IA

Dario Amodei, del quale abbiamo annotato altre previsioni-shock, ammette: “Non è una scienza esatta”. Ma dice anche: “penso che entro il 2026 o il 2027 avremo sistemi di intelligenza artificiale che saranno ampiamente migliori di quasi tutti gli esseri umani in quasi tutte le cose. Vedo molto potenziale positivo”.

Certo, i progressi ci sono. Nel 2024, DeepMind ha scoperto 2,2 milioni di strutture proteiche sconosciute, accelerando la ricerca su Alzheimer e Parkinson, e AlphaFold2 ha “vinto” un Nobel.

“L’IA sta cambiando le regole del gioco”, riconosce Liisa Partanen, gerontologa all’ETH Zürich. “Ma non possiamo ignorare la complessità del corpo umano. Ogni cellula è un ecosistema”.

Il vero nodo? Anche se l’IA trovasse una “cura” per l’invecchiamento, servirebbero decenni di test clinici. E come nota Ed Cara su Gizmodo: “Ogni sigaretta ruba 20 minuti di vita. Forse dovremmo iniziare da qui”.

Oltre l’hype di Dario Amodei: cosa possiamo davvero aspettarci?

Tra proclami e realtà, c’è un equilibrio da trovare. Tom Kirkwood, esperto di aging alla Newcastle University, propone: “Invece di fissarci sull’immortalità, usiamo l’IA per allungare gli anni in salute. È più utile e realistico”.

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I dati confermano: dal 1900 a oggi, l’aspettativa di vita globale è passata da 31 a 73 anni, grazie a vaccini e igiene. L’IA potrebbe replicare questo salto? Forse, ma non da sola. Serviranno politiche sanitarie, riduzione delle disuguaglianze e un po’ di umiltà tecnologica.

Per ora, la scommessa di Dario Amodei resta un esperimento mentale. Come direbbe Stuart Jay Olshansky: “Il corpo umano non è un software. Non basta un aggiornamento”.

O no?



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