Tamponi rapidi Covid inefficaci, assolti i due dirigenti della Regione Veneto imputati nel processo nato dalla denuncia di Crisanti

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Si è concluso con una doppia assoluzione anticipata il processo per la vicenda dei tamponi rapidi che vennero ordinati dalla Regione Veneto nell’estate 2020, in piena emergenza Covid. Il giudice monocratico di Padova Laura Chillemi ha infatti accolto la richiesta di proscioglimento immediato di entrambi gli imputati: il primario trevigiano Roberto Rigoli, che aveva assunto la direzione delle Microbiologie del Veneto al posto del professor Andrea Crisanti, e l’allora direttrice generale di Azienda Zero, il braccio operativo sanitario della Regione, Patrizia Simionato. I reati contestati a entrambi erano il concorso in falso ideologico e turbativa d’asta, mentre Rigoli doveva rispondere anche di frode processuale. A chiedere la fine del processo, dopo una prima serie di audizioni di testimoni, sono stati i difensori, gli avvocati Giuseppe Pavan e Alessandro Moscatelli, in base all’articolo 129 del codice di procedura penale secondo cui in ogni momento del dibattimento il giudice può riconoscere l’esistenza dei motivi di assoluzione.

L’indagine, nata da una denuncia di Crisanti e da un’intercettazione telefonica, riguardava il fatto che i test rapidi non fossero affidabili e non riuscissero a scoprire tutti i contagiati dal Covid. Nell’agosto 2020 Azienda Zero aveva pubblicato un avviso di ricerca di mercato finalizzato all’acquisto di test rapidi anti Covid, inserendo una sensibilità minima pari all’80% tra le clausole per dar corso all’acquisto. La fornitura era stata aggiudicata in due fasi alla multinazionale Abbott, per un importo complessivo di poco superiore ai due milioni di euro. Rigoli aveva assicurato Simionato che il prodotto rispondeva ai requisiti richiesti per screening di massa in aeroporti, ospedali e case di riposo: Crisanti sosteneva che solo i test molecolari fossero in grado di scoprire una percentuale adeguata di positivi. Nel capo di imputazione si faceva riferimento a una presunta mancatavalidazione scientifica, visto che Rigoli si era limitato a provare un campione, con esiti quindi scientificamente insufficienti.

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I difensori hanno ribattuto che la verifica non spettava alla Regione, considerando che i tamponi presentavano già il marchio Ce di conformità ai requisiti Ue. Quindi il primario non aveva commesso reati, limitandosi a una verificare l’idoneità tecnica per l’utilizzo. La motivazione di “insussistenza del fatto contestato” è stata fatta propria nella sentenza del giudice prima ancora di ascoltare la testimonianza del professor Crisanti, oggi senatore dem. “Il dottor Rigoli ha operato nel periodo dell’emergenza pandemica in modo corretto e ha contribuito, grazie alla sua professionalità, in modo decisivo alla salvaguardia della salute pubblica”, commenta l’avvocato Pavan. Soddisfatto anche il presidente della Regione, il leghista Luca Zaia: “Ho sempre difeso questi due professionisti della sanità e la sentenza è una giusta riabilitazione sociale verso persone che hanno sofferto molto. Si tratta di professionisti che hanno subito pesanti conseguenze a causa di accuse impensabili e inimmaginabili. Resta l’amaro in bocca per la gogna pubblica e mediatica subita da questi due dirigenti, che sono stati letteralmente maltrattati dopo essersi impegnati in prima fila per la collettività”.

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