Papa Francesco: ai giornalisti, “siate comunicatori di speranza”

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Il Santo Padre, nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, offre un decalogo per i comunicatori in un tempo “segnato dalla disinformazione e dalla polarizzazione”. Tra i suoi inviti: “Guarire dalle malattie del protagonismo e dell’autoreferenzialità”, “raccontare le tante storie di bene presenti nelle pieghe della storia” e promuovere “una comunicazione non ostile, che diffonda una cultura della cura, costruisca ponti e penetri nei muri visibili e invisibili del nostro tempo”

(Foto Vatican Media/SIR)

“Mettere al centro della comunicazione la responsabilità personale e collettiva verso il prossimo”, in un tempo “segnato dalla disinformazione e dalla polarizzazione, dove pochi centri di potere controllano una massa di dati e di informazioni senza precedenti”. Comincia così il messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, alla vigilia del primo grande evento giubilare, dedicato appunto ai giornalisti, esortati ad essere “comunicatori di speranza”. “Di fronte alle vertiginose conquiste della tecnica, vi invito ad avere cura del vostro cuore, cioè della vostra vita interiore”, la consegna finale.

“Troppo spesso oggi la comunicazione non genera speranza, ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio”,

il grido d’allarme di Francesco, che invita ancora una volta a “disarmare” la comunicazione, cioè a “purificarla dall’aggressività”: “Troppe volte essa semplifica la realtà per suscitare reazioni istintive; usa la parola come una lama; si serve persino di informazioni false o deformate ad arte per lanciare messaggi destinati a eccitare gli animi, a provocare, a ferire”. “Non porta mai buoni frutti ridurre la realtà a slogan”, il monito: “Vediamo tutti come – dai talk show televisivi alle guerre verbali sui social media – rischi di prevalere il paradigma della competizione, della contrapposizione, della volontà di dominio e di possesso, della manipolazione dell’opinione pubblica”. Senza contare che i sistemi digitali “modificano la nostra percezione della realtà”, attraverso una “dispersione programmata dell’attenzione”. In un tale contesto, “sembra che individuare un nemico contro cui scagliarsi verbalmente sia indispensabile per affermare sé stessi. E quando l’altro diventa nemico, quando si oscurano il suo volto e la sua dignità per schernirlo e deriderlo, viene meno anche la possibilità di generare speranza”. Tutti i conflitti “trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti”, la citazione di don Tonino Bello. Per il Papa, “non possiamo arrenderci a questa logica”, anche se “sperare non è affatto facile”.

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Lo stile da adottare, per i comunicatori, è quello indicato nella prima lettera di Pietro:

“Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto”. “La comunicazione dei cristiani – ma direi anche la comunicazione in generale – dovrebbe essere intessuta di mitezza, di prossimità”. “Sogno una comunicazione che sappia renderci compagni di strada di tanti nostri fratelli e sorelle, per riaccendere in loro la speranza in un tempo così travagliato”, rivela Francesco. “Una comunicazione che sia capace di parlare al cuore, di suscitare non reazioni passionali di chiusura e rabbia, ma atteggiamenti di apertura e amicizia; capace di puntare sulla bellezza e sulla speranza anche nelle situazioni apparentemente più disperate; di generare impegno, empatia, interesse per gli altri. Una comunicazione che ci aiuti a riconoscere la dignità di ogni essere umano e a prenderci cura insieme della nostra casa comune. Sogno una comunicazione che non venda illusioni o paure, ma sia in grado di dare ragioni per sperare”. Per fare questo, occorre

“guarire dalle malattie del protagonismo e dell’autoreferenzialità, evitare il rischio di parlarci addosso”,

perché il buon comunicatore “fa sì che chi ascolta, legge o guarda possa essere partecipe, possa essere vicino, possa ritrovare la parte migliore di sé stesso ed entrare con questi atteggiamenti nelle storie raccontate”.  Il Papa entra anche nel dettaglio del lavoro quotidiano del giornalista, esortando “a scoprire e

raccontare le tante storie di bene nascoste fra le pieghe della cronaca;

a imitare i cercatori d’oro, che setacciano instancabilmente la sabbia alla ricerca della minuscola pepita”, per aiutare il mondo “ad essere un po’ meno sordo al grido degli ultimi, un po’ meno indifferente, un po’ meno chiuso”, scovando “le scintille di bene che ci permettono di sperare”. Il Giubileo ha molte implicazioni sociali”, sottolinea Francesco: “Pensiamo ad esempio al messaggio di misericordia e speranza per chi vive nelle carceri, o all’appello alla vicinanza e alla tenerezza verso chi soffre ed è ai margini”.

Riprendendo il tema della sua ultima enciclica, “Dilexit nos”, il Papa declina una sorta di decalogo per i comunicatori:

“Essere miti e non dimenticare mai il volto dell’altro; parlare al cuore delle donne e degli uomini al servizio dei quali state svolgendo il vostro lavoro. Non permettere che le reazioni istintive guidino la vostra comunicazione. Seminare sempre speranza, anche quando è difficile, anche quando costa, anche quando sembra non portare frutto. Cercare di praticare una comunicazione che sappia risanare le ferite della nostra umanità. Dare spazio alla fiducia del cuore che, come un fiore esile ma resistente, non soccombe alle intemperie della vita ma sboccia e cresce nei luoghi più impensati: nella speranza delle madri che ogni giorno pregano per rivedere i propri figli tornare dalle trincee di un conflitto; nella speranza dei padri che migrano tra mille rischi e peripezie in cerca di un futuro migliore; nella speranza dei bambini che riescono a giocare, sorridere e credere nella vita anche fra le macerie delle guerre e nelle strade povere delle favela. Essere testimoni e promotori di una comunicazione non ostile, che diffonda una cultura della cura, costruisca ponti e penetri nei muri visibili e invisibili del nostro tempo. Raccontare storie intrise di speranza, avendo a cuore il nostro comune destino e scrivendo insieme la storia del nostro futuro”.





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