Politica e controllo dei social: un pericolo

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Se ci fossero stati Twitter o TikTok ai tempi di Montesquieu, il fondatore del costituzionalismo liberale avrebbe dovuto modificare la sua famosa distinzione dei poteri. Oggi non basta più la separazione tra esecutivo, legislativo e giudiziario, ma occorre aggiungerne una decisiva: quella tra il potere politico e il controllo dei social essendo una grande opportunità, ma anche un grande pericolo.

La rappresentazione plastica è Elon Musk che saltella felice alle spalle di Donald Trump alla cerimonia di insediamento. La politica dopo anni di populismo è troppo debole e i conflitti di interesse non emozionano più. Non è l’epoca delle leggi antitrust contro i Rockefeller, delle ammonizioni di Luigi Einaudi sulla «prepotenza dei privati non meno pericolosa» della «onnipotenza dello Stato».

Ci vorrebbe un’opinione pubblica severa rispetto all’alleanza tra un presidente, eletto con il vecchio metodo della democrazia, e i padroni assoluti delle tecnologie, non eletti, tutti schierati dietro di lui. E noi che ci lamentavamo del controllo berlusconiano delle tv… Oggi conta qualcosa di ben più invasivo dei giornali e della tv, perché miliardi di persone hanno in tasca e consultano cento volte al giorno una visione del mondo che credono propria, ma è costruita da algoritmi altrui. La relazione è di scambio tra il politico più potente e l’uomo che condiziona opinioni ed emozioni planetarie. Trump sorride compiaciuto se il suo amico fa politica in proprio, condiziona le elezioni tedesche e insulta le democrazie europee. Avevamo creduto che questa amicizia pericolosa sarebbe finita presto, con il conflitto tra due «ego» incompatibili. Ma questi due non sono Calenda e Renzi. Il rapporto simbiotico non è legato al banale finanziamento di una campagna elettorale (banale mica tanto, in Italia si sono distrutte carriere per 2,5 milioni di lire versati in francobolli a un politico). Centinaia di milioni hanno spazzato via la resistenza degli ultimi elettori che, poverini, si scandalizzano ancora se il tycoon è un pregiudicato. Biden allibito in Campidoglio sembrava la statua del passato, ma non quella di Lincoln. Tra i due c’è qualcosa di più, che li lega per ora in modo stretto, con l’impressione che la parte più debole sia già oggi quella del politico. E per di più, nel giro di pochi giorni, il bacio della pantofola trumpiana ha portato al seguito tutta la Silicon Valley dell’ex progressismo. C’è un’assonanza verace di interessi, per prospettive di altri guadagni, altre accumulazioni, altro potere.

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Il povero, in questa compagnia, è “The Donald”, che però da capo banda garantisce per tutti. Putin ha inventato i suoi oligarchi, con il denaro in cambio di stabilità (finchè obbediscono, altrimenti polonio), ma qui sono gli oligarchi che sembrano avere il coltello dalla parte del manico. E il fatto più preoccupante è che convergono tutti nell’individuare un nemico, l’Europa delle regole fastidiose, ma anche del welfare e della solidarietà.

Resta solo da sperare negli anticorpi della più grande democrazia del mondo, ma è già partita l’offensiva più insidiosa, quella della cultura. I grandi network social hanno anticipato il discorso di Trump abrogando l’omaggio ipocrita alla lotta contro il cambiamento climatico e ai valori della diversità. Su miliardi di postazioni social arriverà prima o poi il concetto che tutta questa esaltazione delle minoranze, avrebbe portato minoranze sgradite al potere. Non abbiamo sentito anche in Italia, che il rischio è l’inversione etnica, facendo comandare gli invasori di Lampedusa?Tutto questo è inquietante se il presidente degli Usa comincia a snocciolare decreti e ordini presidenziali conseguenti. La politica internazionale sta già facendo i conti con la realtà ed è pronta a trattare con la massima disponibilità con l’istituzione Casa Bianca. Lo fanno gli amici già esistenti di Trump (spesso coincidenti con quelli di Putin) ma lo fanno doverosamente i governi di orientamento avverso, perché questa è la politica, in democrazia. Il problema chiave resta quello di capire se trattando con l’uomo dell’America di nuovo grande, non ci sia dietro di lui qualche burattinaio che pensa a far grande solo se stesso a spese di tutti.

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