“La comunicazione deve promuovere speranza e pace”

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Nella ricorrenza del patrono dei giornalisti, San Francesco Di Sales, inizia il Giubileo 2025 della comunicazione. L’evento giubilare, che si terrà in Vaticano dal 24 al 26 gennaio, è dedicato a giornalisti, operatori dei media, dirigenti e direttori di testata, videomaker, grafici, addetti alle pubbliche relazioni, social media manager, tecnici audio e video, tipografi. La tre giorni di incontri rappresenta il primo evento del calendario giubilare di quest’anno.

Diffondere pensieri di solidarietà, di amore e di speranza” sono le parole di Papa Francesco che da anni fa un mosaico per fare una comunicazione “più umana”. Ognuno di noi può iniziare a riflettere sul proprio uso del linguaggio quotidiano in ambito professionale. Il compito di noi giornalisti è di dare voce a tutti i gruppi umani e, allo stesso tempo, mettere acqua sul fuoco difronte a modalità aggressive a cui assistiamo nelle interviste televisive, sui social, ecc. 

Quando pubblico un articolo o un video, e scrivo un messaggio suoi social, penso alle conseguenze? Tengo conto delle percezioni che può generare nei miei lettori e follower? Di fronte al “sovraccarico di informazioni, è possibile costruire un giornalismo più analitico e riflessivo?

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Abbiamo incontrato il prof. Daniel Arasa, decano della Facoltà di Comunicazione Istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce e Consultore presso il Dicastero per la comunicazione della Santa Sede.

Il giorno di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, segna l’inizio del primo giubileo del 2025 che parte proprio da coloro che si occupano di comunicazione. Cosa significa per la chiesa cattolica dedicare un giubileo al mondo della comunicazione?

Durante il Giubileo, che si celebra ogni 25 anni, la Chiesa cattolica propone una serie di iniziative, come il passaggio della Porta Santa, le celebrazioni liturgiche, ecc. In questo caso, il 24 gennaio è la festa di San Francesco di Sales, patrono dei comunicatori, e quindi il Giubileo è organizzato anche per i comunicatori. Questa coincidenza non è priva di significato: il Giubileo non è altro che la comunicazione della grazia e della misericordia di Dio all’uomo e, allo stesso tempo, è una chiamata alla conversione personale. Ma la conversione, l’avvicinamento a Dio, non avviene per caso; è necessario accogliere il messaggio del Vangelo, il che richiede un compito evangelizzatore, una proposta positiva, da parte di tutti i cristiani, e in modo particolare da parte di coloro che si dedicano alla comunicazione. 

Il tema del Giubileo è “pellegrini della speranza”. Quanto è importante promuovere la speranza ed essere portatori di pace nel mondo della comunicazione, e quindi nel mondo di oggi segnato da guerre, povertà e polarizzazioni?

Se la nostra comunicazione non porta speranza e non promuove la pace, è meglio non dire nulla. L’uomo è un essere sociale, che vive nella comunità e contribuisce al suo sviluppo. La comunicazione è la modalità, lo strumento, attraverso il quale ci relazioniamo con i nostri simili. Se la usiamo in modo corretto, miglioriamo come individui e come società; se la usiamo in modo aggressivo o fuorviante, ci danneggiamo. Proporre un messaggio positivo non significa essere ingenui o vivere fuori dal mondo. 

È un compito molto difficile…

È ovvio che ci sono problemi, che ci sono guerre e conflitti, che c’è polarizzazione. Proprio per questo i comunicatori, e ancor più quelli con valori etici umani, sono chiamati a cambiare il linguaggio. Questo non significa non denunciare il male o evidenziare le cose che non funzionano, che è uno dei ruoli principali dei giornalisti, ma può essere fatto in un modo che sia in linea con la dignità della persona, che purtroppo spesso viene dimenticata. Senza applicare regole ferree, ricorro spesso ad una massima che mi piace molto: “Se non puoi parlare bene di qualcuno, è meglio tacere”.

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Professor Arasa, il Papa ha detto: “No all’informazione fotocopiata senza consumare le suole delle nostre scarpe”. Come affrontare il rischio di non farsi schiacciare da un’informazione che non è in grado di intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone?

In primo luogo, fare un uso adeguato delle fonti. Non sempre questo viene fatto. Spesso leggiamo informazioni che sono palesemente un “copia e incolla” di quanto scritto da altri, senza contesto, con semplificazioni e riduzionismi che non giovano alla qualità dell’informazione. Sono consapevole che un problema importante per i giornalisti è la mancanza di tempo e di risorse, per cui non sempre è possibile recarsi nei luoghi in cui le cose accadono. È proprio per questo che le fonti credibili sono così importanti. D’altra parte, una cosa utile per tutti, ma ancora di più per i giornalisti, è avere una profonda formazione umanistica, che permette di approfondire le questioni, di vedere tutte le angolazioni, di dare un contesto. Per fare questo, bisogna dedicare tempo allo studio e alla lettura personale, soprattutto dei classici, che presentano in modo eminente le questioni antropologiche più profonde.

Quali sono le chiavi della capacità della Chiesa di comunicare con le persone di oggi?

Se posso dirlo, parlare della Chiesa in generale non è molto efficace. È meglio essere più specifici: stiamo parlando delle istituzioni ecclesiali, dei sacerdoti, della gerarchia…? Anche i laici, in quanto fedeli battezzati, sono e fanno la Chiesa. Cercando di avvicinarsi a ciò che i media “intendono” come Chiesa, che di solito è la gerarchia, i vescovi, i predicatori, ci sono esempi di ogni tipo: positivi, anche molto positivi, e altri non così positivi. 

Molto è stato fatto, ma molto resta da fare. Credo che Papa Francesco sia molto esemplare in questo senso, mostrando con parole e fatti (linguaggio gestuale) la normalità della fede. Usa un linguaggio semplice e non semplicistico, che ci aiuta ad accettare, o almeno ad ascoltare, la proposta cristiana. In una società che ha perso il senso del divino, del soprannaturale, è essenziale partire dalle questioni che interessano le persone. A questo punto, qualcuno potrebbe chiedersi: e se le persone non fossero interessate a questioni che, secondo noi, sono importanti? È qui che sta la domanda, ed è questo il nostro più grande potere come comunicatori: con la creatività, rendere interessante l’importante.

Che cosa chiedono di più i giornalisti sulla Chiesa?

Certamente le dinamiche mediatiche, basate sul conflitto, cercano scandali. Questo è in parte comprensibile. Ma ho la sensazione che soprattutto i giornalisti vogliano risposte: a questioni bioetiche, a questioni sociali, ad aspetti di moralità pubblica… Certo, ci sono molte questioni secondarie e di opinione su cui la Chiesa non deve perdere tempo.

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Quello che mi sembra fondamentale, e che si è un po’ perso, è dare voce ai laici, ai professionisti cattolici seri, nelle questioni di interesse sociale, politico, culturale… In questo senso i media devono crescere: non perché una persona indossi la tonaca, o il colletto, o l’abito religioso, deve sempre essere la persona che rappresenta la Chiesa a parlare di certi argomenti nei media. Molti laici possono dire cose utili e interessanti, spesso dette meglio.

In tempi di intelligenza artificiale, social media e fake news, quali sono le opportunità e le sfide per i giornalisti per portare “le buone notizie” alle persone?

Da qualche tempo si parla di social e mi sembra che i rischi siano evidenti. Basti pensare ai limiti che alcuni governi stanno iniziando a porre al loro utilizzo, soprattutto nel campo dell’educazione dei giovani. D’altra parte, anche chi non è un esperto si rende conto dell’impatto e dell’importanza dell’IA, anche nel campo dell’informazione. Come tutte le tecnologie, offre straordinarie opportunità per migliorare le ricerche, il perfezionamento formale, l’integrazione delle informazioni, ecc. Esistono anche molti pericoli, soprattutto se utilizzata per scopi malvagi (guerra, frode, attacchi informatici, ecc.). Il rischio per i comunicatori è di diventare pigri, lasciando il nostro lavoro nelle mani degli algoritmi.



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