Che cosa succede dopo l’uscita delle banche Usa dalla debole Alleanza sulla “finanza sostenibile”

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Le sei principali banche statunitensi hanno abbandonato l’iniziativa delle Nazioni Unite che ha l’obiettivo di accelerare la transizione verde del settore bancario internazionale. L’annuncio è arrivato a ridosso dell’insediamento della nuova amministrazione Trump alla Casa Bianca.

Non è una sorpresa. Negli ultimi mesi infatti la destra americana ha minacciato le banche di cause legali ed esclusione dalle attività statali per la loro partecipazione ad alleanze sul clima. Secondo alcuni analisti questa notizia mette soprattutto in luce la fragilità di gruppi fondati su impegni volontari in tema di transizione.

“Le iniziative volontarie non sono sufficienti -spiega ad Altreconomia Paul Schreiber, Senior policy advisor di Reclaim finance, Ong che si occupa di ricerca e campagne sulla finanza verde-. Alcune banche hanno usato queste alleanze per alcuni anni per azioni di pubbliche relazioni e per giustificare le loro affermazioni sulla neutralità carbonica, mentre ora che per loro sono diventate scomode, sono uscite”.

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Schreiber spera che le banche europee non colgano questa occasione per fare un passo indietro ma come “un’opportunità per stabilire pratiche più positive per avanzare la transizione energetica”.

La Net-zero banking alliance (Nzba) conta al momento 141 membri, 80 dei quali sono europei. Le banche hanno sede in 44 Paesi diversi, tra cui anche l’Italia, che al momento conta nove membri. Lanciato nel 2021 dallo United Nations environment programme finance initiative, l’iniziativa finanziaria del programma dell’Onu sull’ambiente, il gruppo è anche parte della Glasgow financial alliance for net zero. L’obiettivo che si pone è quello di allineare il settore bancario agli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015, guidando la transizione verso emissioni nette zero di gas serra entro il 2050.

Per diventare membri dell’Alleanza è necessario adottare obiettivi di decarbonizzazione e la Nzba stabilisce alcune linee guida per la loro definizione. “Queste indicazioni sono piuttosto vaghe e molti degli obiettivi adottati non sono considerati abbastanza seri dal nostro punto di vista”, prosegue Schreiber.

Già nel 2022 le banche americane avevano minacciato di lasciare la Nzba, in seguito all’ipotesi di una potenziale azione legale antitrust. L’alleanza finanziaria aveva ammorbidito le sue linee guida, eliminando quelli che potevano risultare come obblighi ad agire sui combustibili fossili, e le banche erano rimaste. Negli scorsi mesi sono però ricominciati gli attacchi da parte della destra americana, soprattutto sotto forma di azioni legali, a banche e associazioni finanziarie con politiche a favore del clima.

Dall’inizio di dicembre 2024, Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley, Wells Fargo e Goldman Sachs sono uscite dall’Alleanza. La sesta, JPMorgan, si è accodata il 3 gennaio scorso. Nonostante ciò, gli istituti di credito hanno affermato di voler comunque portare avanti i loro obiettivi climatici.

Secondo Schreiber “l’azione legale è una delle ragioni ufficiali che vengono portate in questi casi, ma è anche un pretesto: non vogliono prendere alcuna decisione che possa influenzare il loro modello di business. Le banche che sono uscite dall’Alleanza sono tra i maggiori finanziatori al mondo di combustibili fossili e di industrie inquinanti”.

Schreiber spiega come le banche americane abbiano negli anni bloccato ripetutamente i progressi della Nzba. “La loro uscita potrebbe essere un segnale positivo e permettere ai membri più progressisti, come quelli europei, di essere più attivi e di spingere, ad esempio, verso una politica comune”. L’esperto di Reclaim Finance evidenzia la necessità di avere obiettivi più precisi e stringenti sull’allontanamento dai combustibili fossili. 

Finora, infatti, la Nzba non ha ottenuto grandi risultati. In un report redatto da tre economisti per la Banca centrale europea (Bce) nel 2024, si legge come gli impegni volontari in materia di clima potrebbero non essere efficaci nel ridurre le emissioni finanziate. Secondo gli autori, “le imprese collegate a banche allineate all’Alleanza non hanno più probabilità di fissare esse stessi obiettivi di decarbonizzazione” rispetto ad altre, e che “le banche Nzba non stanno effettuando disinvestimenti né si stanno impegnando in modo diverso dalle banche che non hanno un impegno per il clima”

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Agricoltura

 

“Questo esodo dovrebbe essere un campanello d’allarme per i politici, i supervisori finanziari e le autorità di regolamentazione -afferma Schreiber-, dovrebbero rendersi conto che gli impegni volontari non forniscono garanzie in una prospettiva a lungo termine e che devono stabilire criteri chiari e requisiti obbligatori, adottando nuove leggi e facendo maggiore vigilanza sul greenwashing”. Aggiunge che in Unione europea sono cominciati ad emergere requisiti relativi ai piani di transizione, il cui contenuto, però, rimane vago.

Molti dei progressi, soprattutto in materia di combustibili fossili, sono invece decisioni individuali di alcune banche. Un esempio è l’annuncio di Bnp Paribas e Crédit agricole lo scorso maggio, in cui hanno dichiarato che non parteciperanno più alle emissioni di obbligazioni (bond) convenzionali per le società di petrolio e gas.

Le banche giocano tre ruoli principali nel settore del fossile, ricorda Schreiber. Da un lato, finanziano le imprese tramite prestiti. Dall’altro, hanno un ruolo centrale nella sottoscrizione di obbligazioni per le aziende. Le compagnie che devono emettere obbligazioni hanno anche bisogno di banche che le aiutino a farlo, e di banche che le acquistino. Inoltre, “le banche forniscono direttamente molti servizi di consulenza alle aziende, e questo è un aspetto che viene spesso dimenticato”. Secondo Schreiber, se una banca dovesse spostare il proprio sostegno da progetti inquinanti a piani per la decarbonizzazione, potrebbe spingere le aziende in quella direzione. “Ad esempio, se un domani le banche iniziassero a limitare drasticamente il loro credito alle aziende che stanno sviluppando nuovi progetti di combustibili fossili, i costi dei finanziamenti si alzerebbero molto e questo renderebbe i progetti meno competitivi”.

“Siamo scettici sulle alleanze volontarie, ma non abbiamo mai smesso di cercare di guidarle nella giusta direzione -conclude Schreiber-, perché le conseguenze positive potrebbero essere enormi”.

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