Idee su cosa fare in Sardegna in inverno? In Sardegna non c’è soltanto il mare, è un territorio ricco di meraviglie da scoprire tutto l’anno. Gite fuori porta, borghi da vedere, posti da visitare e anche più belli fuori stagione. Anche solo un weekend in Sardegna d’inverno diventa magico.
E allora, ad esempio, cosa visitare a gennaio in Sardegna?
I fuochi di Sant’Antonio
Sant’Antonio discese negli Inferi per rubare una scintilla e donarla all’Umanità. È una leggenda, ma dalla notte dei tempi si ringrazia il santo per questo dono vitale accendendo in suo onore enormi falò all’imbrunire del 16 gennaio: ci si raccoglie intorno e ogni comunità dà vita al proprio rituale. In alcuni paesi il rito si ripete nella serata del 20 con spettacolari falò in onore di San Sebastiano. I fuochi incitano le anime a danzare, prima con movimenti simili a sussulti, poi la festa si vivacizza all’aumentare del crepitio dei rami infuocati, la musica di launeddas e fisarmoniche accompagna balli e canti corali, cibo e vino sono offerti agli ospiti: fave con lardo, coccone, pistiddu, dolci di sapa, mandorle e miele. La magia si ripete anche nel 2025: sacro e profano tornano a mescolarsi in un rito collettivo che rinsalda i legami delle comunità e funge da auspicio per un’annata prospera.
La Sardegna custodisce riti millenari con profondo senso di sacralità. Da un territorio all’altro i fuochi variano per nome e genesi. Barbagia e Ogliastra sono patrie de sos focos. I giorni precedenti la festa, si raccoglie il legname per formare un’altissima piramide nel sagrato della chiesa. La sera della vigilia, la statua di Sant’Antonio è portata in processione per le vie, arrivata al sagrato, i fedeli compiono tre giri propiziatori intorno alla catasta prima in senso orario, poi in verso opposto. Segue l’accensione, tra scintille ed euforia. Barigadu, Guilcer, Marghine e Montiferru sono i regni de sas tuvas. Si ricercano alberi cavi, che, nella piazza principale, vengono riempiti di alloro e benedetti, alcuni incisi con croci. Un’altra benedizione accompagna il fuoco che divampa dentro l’albero, quasi giungesse direttamente dagli Inferi. Tipica è sa tuvera di Sorgono nel Mandrolisai, la Barbagia più occidentale. Corbezzolo, lentisco e cisto sono le frasche dei fuochi della Baronia, a Orosei, Posada, Siniscola e Torpè. Sas frascas, bruciando, emanano un’intensa fragranza aromatica. Dorgali si differenzia perché si accendono solo frasche di rosmarino.
La ‘festa dei fuochi’ è simbolo del ciclo di vita, momento suggestivo e socializzante, nonché ‘prima uscita’ delle arcaiche maschere del Carnevale. A Mamoiada Sant’Antoni e su ‘ou prevede l’accensione di tanti falò quanti sono i quartieri. Attorno ad essi si animano le vigorose danze dei Mamuthones, accompagnati dagli Issohadores. Un’usanza che si perde nella notte dei tempi: il rumoroso ballo dei sonagli servirebbe ad allontanare il male e favorire abbondanti annate agrarie. La festa dura tre giorni: la vigilia il 16 gennaio, Sant’Antoni il 17 con danze e offerta di dolci tipici (caschettas, papassinos nigheddus, biancus e coccone ‘in mele), Sant’Antoneddu il 18. Ottana festeggia s’Ogulone de Sant’Antoni e sa prima essia (uscita) dei Boes e Merdules. A Orotelli, dopo il cerimoniale religioso partono i riti propiziatori dei Thurpos, gli ‘orbi’ con visi ricoperti di fuliggine e vestiti di orbace nera: si brinda col vino novello e si gustano su concale, fave con lardo, pane tundu e pistiddu. Prima ‘uscita’, il 16 gennaio, anche per i Mamutzones di Samugheo, in attesa dell’evento carnevalesco A Maimone. A Orani, Sos Bundos vagano tra i falò indossando maschere in sughero tinte di rosso, con in mano grandi forconi.
A pochi chilometri da Cagliari, si festeggia a Monastir, ad Assemini, a Decimomannu, dove Sant’Antonio è patrono e viene distribuito su pani de Sant’Antoni, a Sestu, che festeggia San Sebastiano con maschere ‘danzanti’ e degustazioni attorno al fuoco, e a Sinnai, dove si celebra su Fogadoni: all’accensione di un grande falò si associa l’esibizione de is Cerbus, maschera del carnevale sinnaese, poi musica e balli tradizionali. Tra Medio Campidano, Marmilla e Trexenta spiccano le alte cataste infuocate di Samassi, Mandas e Villamar, mentre a Laconi, nel Sarcidano, il falò brucia al canto di cori polifonici. A Seui, nella Barbagia di Seulo, imperdibile appuntamento con is Fogoronis in onore di Sant’Efisio, Sant’Antonio e San Sebastiano: le vie del centro storico sono percorse da una processione di fiaccole, che, dopo le cerimonie solenni, fa tappa nei rioni dove sono accesi is fogus. Qui si scopre il misterioso e suggestivo rito de s’Intregu. Al confine tra Sud Sardegna e Nuorese, immancabile la tappa a Sadali per is Foghidonis: i giganteschi falò accesi in onore di Sant’Antonio e San Sebastiano segnano la prima uscita della maschera de s’Urtzu ‘e su Pimpirimponi.
I nuraghi
Osservavano il mondo attorno a loro, il mare, il cielo, la terra, e pensavano. Poi iniziarono ad elevare misteriose torri sempre più complesse e ciclopiche che segnano in maniera originale e inconfondibile la Sardegna. I nostri antenati sono stati straordinari architetti della preistoria, hanno ideato e costruito migliaia e migliaia di nuraghi, unici al mondo. Occhieggiano su città e paesi oppure guardano il mare, i più appaiono all’improvviso nelle campagne, ma ovunque sorgano e qualunque sia stata la loro funzione, dimora del capo, fortezza, tempio, osservatorio astronomico, si percepisce attorno a loro un particolare magnetismo. I luoghi scelti per erigerli, dal più piccolo sino a vere e proprie regge, oltre che rispondere a esigenze pratiche dovevano avere una portata trascendentale.
Non a caso i nuraghi si trovano nei pressi di altri monumenti megalitici di epoca precedente legati alla spiritualità, come domus de Janas, menhir e dolmen. Altri ancora dedicati al culto verranno costruiti vicino, pozzi sacri e tombe di Giganti. Sono luoghi speciali dove si cammina tra grandi pietre con spirito leggero, sarà naturale sentire l’emozione di trovarsi dentro una pagina di storia e di civiltà antica il cui simbolo originale è il nuraghe, considerato, non a caso, patrimonio di tutti.
Su Nuraxi a Barumini è la pop star tra le regge nuragiche ma anche patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Imponente e affascinante sorge alla base de sa Jara manna dall’età del Bronzo antico. Da allora sino alla fine dell’età del Ferro (XVI-VII secolo a.C.) qui si visse una grande stagione della civiltà nuragica.
Ogliastra
L’altissima concentrazione di persone longeve, specie in alcune aree della Sardegna ha attirato l’attenzione della comunità scientifica internazionale. Le ricerche di vari studiosi tendono a dimostrare, la correlazione tra stile di vita, alimentazione e longevità: insieme alla predisposizione genetica, la combinazione di fattori ambientali, antropologici e culturali che caratterizza la Sardegna sarebbe la chiave dell’‘invecchiamento di successo’. Nell’Isola si vive meglio e più a lungo rispetto alla media italiana ed europea. Non a caso, il territorio dell’Ogliastra, assolutamente da visitare, è inserito tra le cinque ‘blue zone’ del mondo, aree in cui la percentuale di centenari e novantenni in salute e attivi è più elevata che nei territori confinanti.
Prodotti agroalimentari e pietanze della Sardegna sono alla base della ‘dieta dei centenari’. Alimenti a chilometro zero, ricchi sotto il profilo nutrizionale, spesso prodotti autonomamente dagli stessi consumatori, abbinati a ritmi di vita cadenzati tra sereno riposo e salutare attività fisica, sono il segreto dell’elisir di lunga vita. Nell’Isola ancora oggi si gustano i sapori di specialità, spesso ereditate da generazioni e generazioni e preparate come tanti secoli fa.
Contribuiscono all’invecchiamento di successo il latte di capra e pecora, che ha il pregio dell’alta digeribilità, e i suoi derivati. E poi il famoso pane carasau, anch’esso ricchissimo dal punto di vista proteico ma estremamente leggero per la scarsa presenza di glutine che lo rende un potente alleato contro l’insorgenza di patologie diabetiche. Anche l’orzo, molto diffuso in tutta l’Isola, è utilizzato specie in inverno nelle preparazione di primi piatti a base di zuppe e minestre. E poi le verdure: pomodori, carciofi e finocchi, ricchissimi di vitamine, e soprattutto i legumi come fave e ceci, secondo alcuni studi i principali artefici della longevità.
Oristano e la Sartiglia
Un evento atteso tutto l’anno che richiama visitatori da tutto il mondo: il fascino di Oristano si sprigiona nella Sartiglia, giostra equestre di origine medioevale con protagonisti, la domenica e il martedì di carnevale, 120 cavalieri. I cerimoniali rievocano il glorioso passato (giudicale e spagnolo) della città principale del Campidano settentrionale, capoluogo provinciale (dal 1974) con 32 mila abitanti. La storia rivive nella festa, insieme al gusto di dolci alle mandorle e vino tipico locale, la vernaccia. La città ha recitato un ruolo da protagonista nel Medioevo: a partire dall’XI secolo si è arricchita di palazzi, fortificazioni e templi cristiani. La maestosa torre di Mariano (o di san Cristoforo) – insieme a sa Portixedda – è la più significativa eredità della cinta muraria che correva attorno all’allora Aristanis, capitale del giudicato d’Arborea. La torre fu costruita (1290) in blocchi d’arenaria ‘riciclati’ dall’antica Tharros, antenata di Oristano, di cui si ammirano i reperti nel museo Antiquarium arborense.
In piazza Eleonora spicca il monumento dedicato alla giudicessa promotrice della Carta de Logu, uno dei primi codici di leggi scritte d’Europa. La statua è cinta da edifici di pregio neoclassici: la chiesa di san Francesco, il palazzo Corrias Carta e il palazzo degli Scolopi. Nel centro storico, iperdibili altri monumenti: palazzo d’Arcais, chiesa di santa Chiara, raro esempio di architettura gotica nell’Isola, chiesa e chiostro del Carmine, in stile barocco-rococò, e la maestosa cattedrale di santa Maria Assunta, il duomo di Oristano, ‘sovrapposizione’ di vari stili architettonici con primo impianto del 1130. Le chiesette di san Sebastiano e san Martino sono le più caratteristiche ‘fuori dalla mura’.
Orune e Galtellì
Oltre Nuoro, altri due paesi vicini sono protagonisti di celebri opere della scrittrice barbaricina, Orune, in Barbagia, e Galtellì, in Baronìa.
Consigliato un percorso che parte da un piccolo paese del Nuorese. Nel romanzo ‘Colombi e Sparvieri’, la scrittrice sarda chiama il paesino Oronou. Orune ha una struttura urbana tipica dei centri pastorali barbaricini, valorizzata dalla parrocchiale ottocentesca di santa Maria della Neve. A sei chilometri dal centro abitato si trova il tempio nuragico su Tempiesu risalente al XIII secolo a.C., unico pozzo templare nuragico ad aver conservato elevazione e copertura originarie.
La seconda tappa è un piccolo centro della Baronìa, sovrastato dal monte Tuttavista, che Deledda descrive in ‘Canne al vento’. Nel borgo di Galte, come è definito nel romanzo, si può visitare la casa delle dame Pintor, protagoniste delle vicende raccontate. Da non perdere altri luoghi citati nel libro: la parrocchiale del trecento dedicata al Santissimo Crocifisso, che deve il nome al crocifisso ligneo risalente al XIV secolo, che presenta anche un organo settecentesco e una cinquecentesca statua in legno policromo della Trinità. All’interno dell’ex cattedrale di san Pietro, risalente al XII secolo, sono presenti i dipinti citati dalla Deledda nel romanzo. Mentre il museo etnografico Casa Marras, allestito in una dimora patronale del XVIII secolo, contiene oggetti e manufatti della civiltà agropastorale.
(Unioneonline)
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