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Cominciamo bene, vale la pena di dirlo. Abbiamo appena iniziato a ragionare sugli incipit dei romanzi più belli – la prima puntata è uscita due domeniche fa, la prossima è prevista per domenica 2 febbraio, non perdetevela per niente al mondo – e già decine e decine di lettori ci hanno mandato il loro contributo. Così abbiamo aggiunto questo appuntamento intermedio, fra una puntata e l’altra, nel quale diamo spazio al vostro lavoro. Anche se un po’ me lo aspettavo è bello scoprire quanti di voi scrivono e quanti vogliono mettersi in gioco. È un gioco infatti, ci tengo a sottolinearlo: nessun giudizio, nessuna classifica, nessuna bocciatura.
Sarete voi tutti a leggere e a farvi un’idea, a promuovere e a bocciare. È bene anche fare una precisazione: non stiamo cercando romanzi, tantomeno romanzi o racconti da pubblicare, non è questa la sede. Cerchiamo incipit e niente più: fantasiosi, toccanti, intriganti punti di partenza. Per cui prendete un quaderno o un computer e scrivete scrivete e scrivete ancora, anche mille pagine, ma poi mandateci l’incipit. In chiusura io voglio limitarmi a segnalare tre incipit su cui mi è caduto l’occhio e su cui è possibile fare qualche considerazione. Li trovate qui sopra.
Segue…
Arrivati in redazione
Luciano Grassi
Siamo ancora qua.
A godere del profumo del vento.
Elisa Marchinetti
Un sibilo tagliente, come una frustata inaspettata, sbeffeggiò l’aria. Poi un tonfo.
Francesca Tamani
Tutti i sacrosanti giorni, da anni, secoli o millenni, Joseph, il sarto, sedeva ricurvo sulle sue ginocchia ad imbastire.
Daniele Carlotti
Le favole più belle iniziano sempre con: «C’era una volta», questa però non è una favola.
Roberto Zaccarini
Non capivo il motivo di tale insistenza, quella fredda mattina di gennaio, erano circa le 10, sentivo un vociare fastidioso provenire dall’ufficio antistante il mio. Veronica a fatica cercava di impedire l’intrusione della signora, si sentiva un rumore di tacchi che strisciavano sul pavimento, urla, suppellettili che cadevano, un vero terremoto.
Rosetta Campanini
Non avrei mai immaginato che in quella freddissima giornata invernale del 1955 un incontro particolare avrebbe completamente modificato i miei piani e condizionato la mia vita futura.
Stefano Melani
Era un caldissimo luglio del 1971, sulle banchine del porticciolo turistico di Varazze, proprio sotto al castello che orna il pittoresco golfo, un continuo andirivieni di vecchi ma robusti camion, continuavano ad ammassare vecchie carcasse d’automobili.
Maria Elena Rusconi
Mi piacerebbe scrivere un racconto di libertà, uno di quelli che di riga dopo riga ti portano sempre più lontano, su una vecchia strada di campagna la cui fine è delimitata solo dal tramontare del sole.
Calzolaro Roberta
Nell’assolato Sud degli anni ’60 una bambina è seduta sul pavimento con un bel vestito in chiffon nuovo e delle belle scarpette di vernice nera.
Zeno Debrai
In un lugubre stagno al centro di una tetra palude viveva un papero nero di nome Molgor, lui era così… «Com’era?» vi starete chiedendo. Duole dirvelo, ma era di una malvagità inenarrabile.
Giuseppe Pizzigoni
Ormai non mi andava più di raccontare quella che era stata la mia avventura.
Troppe volte ci avevo provato, senza averne alcun beneficio.
Scelti e commentati
Stefania Cardinali
Oggi ho deciso di darti alla luce. Indosso una maglia di viscosa blu, ho i piedi nudi con lo smalto sbeccato color perla e sono accovacciata sul divano di pelle del soggiorno, davanti alla TV. Vuoi sapere anche il giorno?
È un incipit spiazzante, e questo è un bene. Di cosa parlerà il romanzo? Di un rapporto madre figlio/figlia? Ancora non lo sappiamo. Ma soprattutto perché un parto in casa, davanti alla TV? È azzeccato mi pare il tono e funziona la seconda persona, quel ‘tu’ che arriva in faccia al lettore, e la domanda diretta con cui si chiudono queste righe. Ci sono esempi celebri di questo tipo, magari ne parleremo.
Monica Pedretti
Piazza Maggiore è semideserta stasera.
Piazza Maggiore è un buon punto di partenza. Tutti i luoghi precisi lo sono, e in questo caso chissà perché sappiamo di essere a Bologna, anche se una Piazza Maggiore c’è in chissà quante altre città. E poi questa nella sua semplicità potrebbe essere il primo verso di una canzone indie, di quelle che di solito non sentiamo a Sanremo. È sera, non c’è nessuno in giro, e Bologna sa essere malinconica.
Daniela Bertoli
«Manu, ma perché?» «Perché ero stanca».
In questo caso è interessante l’apertura con un dialogo, poco frequente ma sempre coinvolgente se usato come si deve. Possiamo immaginare che qualcosa sia successo, e insieme a chi fa la domanda ci siamo anche noi lettori. “Perché Manu?”. In più funziona a mio parere la risposta: la stanchezza a volte ci porta a fare scelte sbagliate, altre volte a muoverci in modo imprevedibile, e di solito la stanchezza è una motivazione che non risulta valida, e che richiede scuse, pentimenti, tutti buoni spunti per scrivere con sincerità.
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