Quando si pensa alla Puglia, la mente evoca immagini di uliveti secolari, spiagge dal mare cristallino e borghi ricchi di storia. Eppure, dietro tale paesaggio idilliaco si nasconde una realtà che merita attenzione: il rischio sismico. Sebbene la regione sia generalmente considerata a bassa sismicità rispetto ad altre zone italiane, un’analisi più approfondita delle sue province rivela aree dove il pericolo è maggiore.
Il rischio sismico in Italia è classificato in quattro zone, dalla zona 1, con il livello di pericolo più alto, fino alla zona 4, dove il rischio è considerato minimo o trascurabile. In Puglia, la provincia di Foggia spicca per la presenza di aree ad alto rischio, dovute alla vicinanza alla faglia appenninica. Comuni come San Marco la Catola, Bovino e Accadia sono particolarmente vulnerabili a eventi tellurici, mentre i Monti Dauni, con le loro strutture geologiche attive, sono tra le aree più sensibili. Al contrario, le province di Bari, Taranto, Lecce e Brindisi sono caratterizzate da una bassa sismicità.
L’OSSERVATORIO REGIONALE Per far fronte a queste sfide, la Regione Puglia si distingue come la prima in Italia a dotarsi di un Osservatorio Georischi, un’iniziativa affidata all’Asset (Agenzia regionale Strategica per lo Sviluppo Ecosostenibile del Territorio). L’Osservatorio svolgerà un ruolo cruciale nel rafforzare la capacità della regione di pianificare interventi mirati e promuovere una prevenzione efficace, in linea con la crescente necessità di tutelare il territorio e le comunità locali.
TERRITORIO E PREVENZIONE I disastri naturali sono ormai un problema quotidiano, con impatti sempre più devastanti causati dalla fragilità del territorio e dai cambiamenti climatici. «Viviamo in una società complessa, con infrastrutture fisiche fragili. A questo si aggiungono eventi naturali estremi, legati ai cambiamenti climatici, che rendono l’impatto maggiore e più frequente», spiega Pierfrancesco Dellino, vulcanologo e docente di Geochimica presso l’Università di Bari, Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali. «In Puglia conviviamo con rischi idrogeologici come cavità carsiche, erosione costiera, inquinamento e le cosiddette “lame” che possono trasformarsi in canali di esondazione -prosegue Dellino -. Abbiamo poi un rischio sismico concentrato soprattutto sul Gargano, che, sebbene poco frequente, può risultare molto forte e difficile da prevedere».
GARGANO E NUOVI SENSORI Proprio il Gargano è una delle aree di maggiore interesse per la ricerca: «La nostra rete sismica, sviluppata presso il Dipartimento di Scienze della Terra, in collaborazione con il Dipartimento di Protezione Civile Nazionale, è stata potenziata con nuovi sensori per captare ogni piccolo segnale. Questo è essenziale perché, sebbene i terremoti sul Gargano siano rari, la loro intensità può essere devastante».
RISCHI NATURALI Un passo avanti nella gestione di tali rischi è rappresentato dal progetto nazionale RETURN, finanziato dal PNRR con un budget di 120 milioni di euro e coordinato, per una parte importante, proprio dall’Università di Bari. «RETURN è un progetto senza precedenti – spiega Dellino – Ci occupiamo di rischi sismici, vulcanici, idrogeologici e altro, lavorando insieme a enti territoriali e altre università per sviluppare reti di monitoraggio e soluzioni innovative».
ASSENZA DI COORDINAMENTO Nonostante i progressi, il professor Dellino evidenzia un problema strutturale: la frammentazione. «Abbiamo troppe strutture che cercano di fare le stesse cose. In Puglia, ad esempio, esistono il Dipartimento di Protezione Civile regionale, il Servizio Emergenze e la struttura Asset, ma manca un reale coordinamento. Questo genera sovrapposizioni che rischiano di rallentare gli interventi».
Dellino non si risparmia una critica: «Il problema dell’Italia è che siamo bravi, ma individualisti. Ci manca una vera capacità di affrontare temi interdisciplinari mettendo insieme le competenze. RETURN è un primo passo per creare una comunità scientifica coesa, ma c’è ancora molto da fare».
IL RUOLO DEI SINDACI Tra le principali difficoltà, emerge l’inesperienza delle istituzioni locali. «In Italia il primo presidio di protezione civile è il sindaco – sottolinea Dellino – Ma nei piccoli comuni, specie quelli soggetti a frane o alluvioni, spesso mancano le competenze per affrontare le emergenze. Per questo è fondamentale non solo fare ricerca e monitoraggio, ma anche formare i decisori politici e sensibilizzare la popolazione». Un esempio virtuoso è rappresentato dalla collaborazione tra università e protezione civile.
«Recentemente abbiamo partecipato a una giornata formativa per i vigili del fuoco, organizzata dalla protezione civile regionale. È importante capire che le università non formano solo studenti, ma anche tecnici, operatori e istituzioni».
UN FUTURO DI SFIDE Guardando al futuro, il professor Dellino segna la necessità di creare una banca dati unica per i rischi naturali. «È un obiettivo di cui si parla dagli anni ‘70, ma ancora non esiste. La difficoltà sta nel mettere insieme dati diversi con metriche uniformi: un compito complesso che richiede risorse e collaborazione». Nonostante tutto, Dellino vede nel progetto RETURN un’opportunità unica: «Speriamo che diventi un modello per superare la frammentazione e rendere l’Italia più resiliente. Ma per farlo servono fondi, personale competente e una visione strategica condivisa. Se Asset e altre strutture regionali sapranno cogliere questa occasione, sarà un grande passo avanti». I dubbi permangono.
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