Mark Zuckerberg fa un passo indietro sui programmi di inclusione di Meta

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L’amministratore delegato di Meta, Mark Zuckerberg, ha annunciato una serie di modifiche sostanziali nelle politiche di moderazione dei contenuti del gruppo che possiede, tra le altre, cose Facebook e Instagram. La più importante riguarda l’abolizione del programma di fact checking che Meta aveva introdotto nel 2016, giusto qualche settimana dopo la vittoria alle elezioni presidenziali di Donald Trump, per limitare la diffusione di notizie false e contenuti offensivi sui propri social network, ma in particolare su Facebook. Oggi, invece, assistiamo a un dietro front radicale, e nell’annunciare, ovviamente via social, questo cambiamento Zuckerberg ha insistito su due concetti messi in antitesi tra loro: da un lato la libertà d’espressione, come non solo bene supremo da tutelare ma soprattutto come incarnazione massima dello spirito americano, e dall’altro la censura, che, ci racconta uno Zuck riconvertito ai valori trumpiani, è il nuovo nemico numero uno da abbattere. Dove sta la prima stanno i patrioti a stelle e strisce, dove c’è la seconda ci sono, sempre secondo il pensiero di Zuckerberg, governi oscurantisti, come quello della Cina ma anche di alcuni Stati europei. E in tutto questo il faro luminare che ha guidato questa sorta di risveglio ideologico è, dicevamo, il neo eletto presidente Donald Trump, a cui di recente Zuckerberg ha fatto visita a Mar-a-Lago, la sua residenza in Florida, occasione nella quale gli ha pure portato in dono un paio dei nuovi occhiali in realtà aumentata di Meta. “Lavoreremo col presidente Trump – ha detto Zuckerberg nel video in cui racconta le nuove policy del gruppo – per respingere i governi di tutto il mondo che se la prendono con le compagnie americane e premono per una censura maggiore”. Ossia noi europei, per esempio, perché abbiamo “un sempre crescente numero di leggi che istituzionalizzano la censura e rendono più difficile realizzare qualsiasi innovazione lì”.

Meta annuncia i tagli ai suoi programmi di diversity e inclusion

Nemmeno 72 ore dopo, è arrivato il rincaro: l’11 gennaio Meta ha dichiarato che a partire da quel momento la compagnia dirà addio anche ai suoi programmi per la diversità, l’equità e l’inclusione. La società madre di Facebook e Instagram ha pubblicato una nota dove spiega che “il panorama giuridico e politico per gli sforzi in materia di diversità, equità e inclusione negli Stati Uniti sta cambiando” e che alcuni programmi, tra cui il Diverse Slate Approach, non sono più “attuali”. Meta, dunque, ha eliminato il suo ruolo di responsabile della diversità, ha posto fine ai suoi obiettivi di assunzione sulla diversità che richiedevano l’impiego di un certo numero di donne e minoranze e ha affermato che non avrebbe più dato priorità alle aziende di proprietà di minoranze quando assumeva fornitori. Nelle interviste fatte dal New York Times a più di una dozzina di attuali ed ex dipendenti Meta, dirigenti e consulenti di Zuckerberg, la maggior parte ha descritto il suo cambiamento come motivato da un duplice scopo. Da un lato posiziona Meta “meglio” in rapporto al panorama politico del momento, con il potere conservatore in ascesa a Washington e Donald Trump pronto a entrare in carica il 20 gennaio. Dall’altro i cambiamenti, secondo questi insider, rifletterebbero le opinioni personali di Mark Zuckerberg su come dovrebbe essere gestita la sua azienda da 1,5 trilioni di dollari, opinioni che, pare, egli non vuole più tenere nascoste. E se così fosse, l’ultima notizia sulla rimozioni degli assorbenti dai bagni degli uomini nelle sedi di Meta, andrebbe, dunque, a esprimere il punto di vista ideologico di Zuckerberg sul tema dei diritti delle persone non binarie e in transizione. Un punto di vista decisamente avverso.

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cihatatceken//Getty Images

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Dopo l’annuncio di Meta di porre fine ai programmi DEI, il fondatore di Hello Patient Alex Cohen ha detto: “Sono stato licenziato da Meta oggi. Ho creato io la policy che forniva assorbenti in tutti i bagni maschili. Sono rimasto scioccato nel vedere il mio ruolo eliminato come parte dei tagli DEI. Il lavoro che stavo facendo era così cruciale per la cultura della nostra azienda. So che dopo questo atterrerò in piedi e tornerò più forte. Avanti!”. Dal canto suo, Zuckerberg ha detto a Joe Rogan, il podcaster più famoso d’America con cui Trump aveva conversato in occasione della sua campagna elettorale, che “la Corte Suprema degli Stati Uniti ha recentemente preso decisioni che indicano un cambiamento nel modo in cui i tribunali tratteranno i programmi Dei (Diversity, Equity and Inclusion). Il significato della sigla Dei è cambiato, perché alcuni la intendono un trattamento preferenziale di alcuni gruppi rispetto ad altri”. L’intenzione, ora, è di “applicare pratiche eque e coerenti che mitigano i pregiudizi per tutti, indipendentemente dal background”. L’obiettivo, almeno sulla carta, per Mark Zuckerberg è, quindi, quello di evitare corsia preferenziali per “supportare le persone sotto-rappresentate nella nostra forza lavoro e attraverso i nostri prodotti”.

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Maurizio Siani//Getty Images

Sempre il New York Times riporta che dopo la rimozione degli assorbenti dai magni maschili, “su Workplace, il software di comunicazione interna simile a Slack di Meta, i dipendenti hanno iniziato a discutere di questi cambiamenti. Nel gruppo di risorse per i dipendenti @Pride, dove si riuniscono i lavoratori che supportano le questioni LGBTQ, almeno una persona ha annunciato le proprie dimissioni mentre altri si sono scambiati messaggi privatamente dicendosi che avevano intenzione di cercare lavoro altrove”. Venerdì 10 gennaio, Roy Austin, vicepresidente per i diritti civili di Meta, ha annunciato che avrebbe lasciato l’azienda. I motivi non sono stati resi noti, ma è facile intuire che i recenti scollamenti tra il Ceo di Meta e i suoi dipendenti più progressisti stia diventando una distanza incolmabile. In un mutamento che, in senso opposto, lo sta riportando sempre più vicino a Donald Trump, in una distopica parabola del figliol prodigo versione Maga.



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