Il 2025 sarà l’anno della CCS ma l’Ue rischia di rimanere indietro

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Il 2025 sarà l’anno della CCS ma l’Ue rischia di rimanere indietro rispetto agli Usa nella corsa a questa tecnologia. Ecco perché

Il 2025 sarà un anno d’oro per la CCS. Infatti, si stima che vedranno la luce circa 200 progetti per oltrr 500 Mtpa di capacità e ci sarà un numero record di di decisioni finali di investimento (FID). Northern Lights in Norvegia sarà il primo progetto europeo per la cattura, il trasporto e lo stoccaggio del carbonio. In Italia Ravenna CCS è in rampa di lancio. Tuttavia, l’Europa rischia di rimanere indietro nella corsa a questa tecnologia rispetto agli Usa. Ecco perché.

IL FUTURO DELLA CCS

Il mercato della CCS raggiungerà 8.040 milioni di dollari entro il 2030, secondo le stime. Le principali sfide che il settore dovrà affrontare sono legate ai costi elevati e ai lunghi tempi di esecuzione. Da qui al 2034 serviranno 196 miliardi di dollari di investimenti, con un sostegno governativo di 80 miliardi di dollari principalmente in Nord America ed Europa. Tra i progetti più importanti che partiranno quest’anno figurano Oil Sands Pathways to Net Zero in Canada, Summit Carbon Solutions Cluster negli Stati Uniti, HyNet NW nel Regno Unito e Northern Lights in Norvegia.

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L’Europa, però, rischia di rimanere indietro. Infatti, secondo le stime rallenterà il ritmo delle licenze mentre altri paesi come Indonesia e Nuova Zelanda consolidano la legislazione sulle CCS. A farla da padrone saranno gli Stati Uniti, dove si prevede un aumento significativo delle approvazioni dei permessi di classe VI per lo stoccaggio di CO2.

ITALIA IN PRIMA FILA

La carbon capture and storage è finita nel mirino della critica a novembre dell’anno scorso, anche rispetto a Ravenna CCS, il primo progetto di cattura e stoccaggio della CO2 in Italia. Sotto accusa, spesso, la tecnologia in quanto tale, un alleato importante per la decarbonizzazione di diversi settori industriali, come riconosciuto anche da IEA, IPCC, IRENA, UE e ONU.

Tuttavia, la recente indagine sul potenziale mercato della CCS condotta da Eni e Snam ha evidenziato un certo interesse da parte del comparto industriale nei confronti di questa tecnologia: 61 aziende, 172 siti industriali. 27 milioni di tonnellate di CO2 all’anno al 2030 e 34 milioni di tonnellate al 2040.

RAVENNA CCS, IL PROGETTO DI ENI E SNAM

L’interesse nella CCS è particolarmente forte nei comparti industriali che puntano a decarbonizzare cicli produttivi energivori e spesso non elettrificabili. Infatti, il mercato legato a questa tecnologia è assorbito per circa un terzo da impianti per la produzione di energia. Tuttavia, la quota restante comprende varie tipologie di industrie hard to abate (cemento, calce, chimica, raffinazione, acciaio, vetro, carta, ceramica). Per non parlare poi del potenziale del settore della termovalorizzazione dei rifiuti. Il progetto di Eni e Snam è stato riconosciuto di comune interesse europeo, così come lo stessa tipologia in costruzione da parte di Hera e Saipem.

Attualmente Ravenna CCS si trova nella fase 1, che prevede l’iniezione in giacimento di un massimo di 25 mila tonnellate di CO2 all’anno. Volumi che saranno catturati dalla centrale Eni di trattamento del gas naturale di Casalborsetti, sita nel comune di Ravenna. Successivamente, l’anidride carbonica verrà trasportata fino alla piattaforma offshore di Porto Corsini Mare Ovest. Infine, verrà stoccata nell’omonimo giacimento a gas esaurito a circa 3000 metri di profondità.

ENI IN UK

Eni si sta affermando come capofila della filiera della Ccs che coinvolge diverse attività, dalla cattura al trasporto allo stoccaggio della CO2. A breve nascerà una newco in cui “saranno conferiti gli asset con un certo tasso di maturità. Inizialmente le attività a Ravenna e nel Regno Unito, dove abbiamo due progetti, uno a Liverpool e l’altro nel Sudest di Londra. (…) La gara è in corso e abbiamo ricevuto diverse offerte. Pensiamo che entro la prima metà del 2025 avremo l’assetto societario che comprenderà da uno a due partner»”, ha detto Guido Brusco, direttore generale e Chief operating officer Global natural resources dell’Eni a Il Corriere della Sera.

CCS, UN 2025 ALL’INSEGNA DI ACQUISIZIONI E FUSIONI

I partenariati strategici, la necessità di razionalizzare i portafogli e raggiungere gli obiettivi aziendali di cattura e stoccaggio della CO2 faranno aumentare ancora di più le fusioni e le acquisizioni.
Operazioni che contribuiranno a ridurre la frammentazione del panorama aziendale globale dei progetti di CCS, che attualmente conta oltre 600 aziende coinvolte in circa 1.000 progetti. Proprio in questa direzione vanno l’acquisizione di Denbury da parte di ExxonMobil e la fusione di SLB e Aker Carbon Capture.

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L’incertezza che regna sui regimi di incentivazione statali in diversi Paesi potrebbe influenzare gli investimenti. Tuttavia, attualmente diversi Stati stanno mostrando di voler cambiare rotta, stanziando fondi significativi per sostenere lo sviluppo della CCUS nel 2025.

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Per quanto riguarda l’Italia, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica sta lavorando a uno studio per la definizione del quadro regolatorio per normare il mercato e i servizi legati a questa tecnologia. Il tavolo aperto al Mase, a cui siederà anche Arera, coinvolgerà anche Confindustria e le stesse Snam ed Eni.

L’obiettivo del confronto con le aziende è acquisire studi e informazioni di carattere tecnico utili per la normativa, quali appunto l’indagine conoscitiva condotta dalle due aziende. Per portare altri esempi, la Svezia e la Danimarca hanno annunciato piani di sostegno con fondi dedicati ai progetti CCUS.

Gli investimenti avranno un ruolo determinante nella riduzione dei CAPEX. Le stime fanno ben sperare. Infatti, secondo un recente report IEEFA, il divario tra i costi CCS (100-200 €/t circa) e l’ETS non appare incolmabile. Anzi, si chiuderà tra il 2040 e il 2050 grazie all’incremento ETS e all’abbassamento dei costi della filiera CCS. In particolare, nello scenario IEA al 2030 l’ETS è stimato a 140 €/t, permettendo così di pareggiare i costi dei settori/contesti più aggredibili. Già al 2040, poi, l’ETS salirà a 176€/t. Inoltre, un dato da non sottovalutare è che emettere CO2 in atmosfera costerà sempre di più.



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