Trattativa pure sul comma-sindaci, l’ipotesi: devono dimettersi tre mesi prima di candidarsi

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L’avvicinarsi delle elezioni regionali pugliesi sta riaprendo il dossier della legge elettorale ovvero delle regole del gioco. Dopo l’approvazione della cosiddetta «norma anti-Decaro», quello che prevede che un sindaco di debba dimettere 180 giorni prima delle elezioni regionali per potersi candidare come consigliere, si discute sia della modifica di questo dispositivo che di altre possibili ipotesi di variazione delle regole vigenti. Si discute trasversalmente, grazie ad un dialogo bipartisan avviato dal Pd Puglia.

Capitolo legge sulla candidabilità dei sindaci. Con il disposto in vigore, i primi cittadini che ambiscono ad un seggio in via Gentile dovrebbero dimettersi entro marzo per poter avere i requisiti necessari alla candidatura. Questa scadenza sembra plausibile se, come ha annunciato il premier Giorgia Meloni, il rinnovo dei cinque consigli regionali eletti nel 2020 avverrà come previsto nel prossimo autunno. Questa mannaia colpirebbe tante fasce tricolore pugliesi, la maggior parte del centrosinistra, complicando la discesa in campo nelle fila delle liste civiche o del Pd pro Decaro. L’Anci Puglia, con un documento sottoscritto da esponenti di sinistra e di destra, si è schierato contro l’attuale normativa con una lettera alle segreterie politiche dei partiti della regione e ha sollecitato «un intervento immediato verso i propri consiglieri regionali». L’appello unanime e trasversale ha le firme del presidente di Anci Puglia, la decariana doc Fiorenza Pascazio, del vicepresidente vicario Michele Sperti (di Fdi) e dai vicepresidenti Noè Andreano, Giovanna Bruno, Onofrio Di Cillo, Luciana Laera: «Ribadiamo con convinzione che l’emendamento relativo alla incandidabilità dei sindaci è un atto ingiusto e discriminatorio – sostengono – che risulta profondamente lesivo del principio costituzionale di uguaglianza e del diritto democratico di libero accesso alle cariche elettive, nonché del principio, sacrosanto e inviolabile, per i cittadini, di esercitare liberamente il proprio diritto di voto».

La discussione è in atto nei partiti, se ne è parlato anche a latere dell’esecutivo regionale di Fdi venerdì scorso, ma la questione presenta una serie di difficoltà. I consiglieri regionali che trasversalmente l’hanno approvata non intendono, per ora, fare favori ai sindaci che potrebbero essere tra qualche mese forti competitor nella corsa elettorale. Non a caso secondo «Radio Regione» sono papabili per una candidatura tra gli altri la stessa Pascazio, Giuseppe Nobiletti (sindaco di Vieste, a sinistra), i meloniani Nicola Gatta e Giovanni Mastrangelo (Candela e Gioia del Colle), la dem Giovanna Bruno (Andria, Pd), Toni Matarrelli (Mesagne, Con). L’attuale formulazione potrebbe presentare elementi di incostituzionalità (da accertare) per la discriminazione eventuale verso i primi cittadini. Da qui si lavora per una mediazione. Questa volta il modello su cui potrebbe convergere anche il centrodestra è quello dell’Abruzzo, che prevede le dimissioni dei sindaci tre mesi prima del voto (nelle ultime regionali le dimissioni avvenivano 45 giorni prima).

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Questione sbarramento. I cespugli vicini a Michele Emiliano e Antonio Decaro vorrebbero una sensibile riduzione dello sbarramento ovvero della percentuale che consentirebbe alle liste di accedere alla divisione dei seggi: dall’attuale 4% al 3%. Nell’ultima tornata avrebbe permesso l’accesso al Consiglio alle liste di Pisicchio, dei socialisti e vendoliani, e di Italia in Comune. Su questo fronte il centrodestra nicchia, e la motivazione politica è connessa al non formulare un involontario assist alla coalizione avversaria, che parte già con qualche vantaggio.

L’opzione consiglieri supplenti. Questa innovazione, proposta da Azione, prevederebbe che i consiglieri nominati dal neogovernatore assessore siano sostituiti dai rispettivi primi dei non eletti finché dura il mandato di governo. In caso di rimpasto ed esclusione dalla giunta, tornerebbero detentori del seggio conquistati nelle urne. L’eventuale innovazione potrebbe essere una toppa per limitare la riduzione degli eletti (per il calo degli elettori nella regione). Ma di fatto si tratterebbe di una facoltà che privilegerebbe solo la futura maggioranza. E anche su questo il centrodestra fatica a trovare ragion per una convergenza con chi propone questa riforma.

La questione ripartizione seggi. L’articolo 15 dell’attuale legge elettorale finora ha favorito una serie di ricorsi perla difficoltà di individuazione dei quorum che determinano gli eletti nelle liste delle sei province. Questo nodo meriterebbe una riformulazione, ma finora la materia non è stata affrontata dai partiti, nemmeno in contatti informali.



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