BARI – Nelle prime ore di questa mattina, carabinieri della Compagnia di Bari Centro, a conclusione di un’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica e Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo pugliese, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Valeria Isabella Valenzi, nei confronti di cinque indagati, ritenuti responsabili di spaccio in concorso di sostanze stupefacenti nel Borgo Antico di Bari che avveniva nei locali della movida. Sono stati sequestrati 5 chilogrammi di sostanza stupefacente.
I carabinieri hanno documentato da aprile 2021 a marzo 2022 decine di episodi di cessione di droga anche a minorenni. Centro nevralgico dell’attività di spaccio era strada San Benedetto, a pochi passi dalla stazione dei carabinieri, dove abitano due degli arrestati, organizzata con vedette, turni e predisposizione di nascondigli in strada per il prelievo delle dosi già confezionate.
Nella città vecchia, hanno ricostruito gli investigatori, ci sono diverse piazze di spaccio di eroina, cocaina, hashish e marijuana, tutte gestite da persone legate ai clan Capriati e Strisciuglio che, evidentemente, si sono spartiti il territorio. Negli atti si parla di “sicura contiguità” degli indagati con gli ambienti della criminalità organizzata (Luigi Martiradonna ha precedenti specifici per associazione mafiosa come sodale del clan Capriati).
Nella prima fase delle indagini i militari hanno eseguito pedinamenti e controllato gli acquirenti. Nei mesi successivi hanno fatto videoriprese ma ad un certo punto, da metà febbraio del 2022, dopo il sequestro di 3 chili di marijuana, le telecamere sono state manomesse da alcuni degli indagati, consapevoli di essere stati scoperti e anche le telecamere installate dopo sono state distrutte (ci sono intercettazioni anche video a dimostrarlo, come quello in cui si vede uno degli indagati, Cannito, che alla presenza degli altri getta per terra la piccola telecamera e la pesta). Avrebbero distrutto anche quella posizionata in strada San Benedetto sul tetto dell’immobile di proprietà della Fondazione Petruzzelli, in alcuni casi arrampicandosi sui pali della luce e distruggendo gli apparecchi a colpi di martello. Avrebbero sfruttato insomma i dedali di strade del Borgo antico in cui “l’azione preventiva e repressiva risulta difficile”.
Gli investigatori hanno documentato il confezionamento delle dosi e la loro vendita, ma anche le esplicite comunicazioni in chat tra i pusher, che si inviavano foto di portafogli pieni di banconote a testimoniare il guadagno giornaliero, sacchetti di marijuana e anche atti giudiziari, soprattutto verbali di collaboratori di giustizia.“Su apposite chat” gli indagati si passavano “verbali di collaboratori di giustizia, ordinanze e sentenze aventi a oggetto vicende dei clan Strisciuglio, Parisi – Palermiti e altri ambienti di criminalità organizzata”, annota la giudice spiegando che si tratta di una “circostanza che fonda, sotto il profilo della valutazione della personalità, il convincimento di un forte interesse” degli indagati verso le “vicende che interessano la criminalità organizzata locale oltre che sicura contiguità con quegli ambienti” perché solo chi è indagato o imputato in quei procedimenti “dispone di quel tipo di atti”. Per la Gip, quindi, l’essere in possesso di atti relativi a procedimenti giudiziari o attività di indagine evidenzierebbe la vicinanza dei cinque ai clan storici della città. Inoltre, “con riferimento ai verbali dei collaboratori, si osserva che molti di questi vengono inspiegabilmente acquisiti a pochi giorni dalla redazione del relativo verbale”https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/.”L’acquisizione dei verbali – ricorda ancora la giudice – è propedeutica all’anticipazione di linee difensive o versioni alternative poiché vale a monitorare il numero e la natura delle accuse e quindi ad anticipare le mosse degli inquirenti”.
TUTTI I NOMI
In carcere sono finiti Antonio De Lellis di 27 anni, Nicola Cannito di 26 anni, Domenico De Tullio di 26 anni, Francesco e Luigi Martiradonna rispettivamente di 24 e 42 anni. Indagate a piede libero altre due persone: Saverio e Antonio Manzari, padre e figlio di 62 e 37 anni.
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