COP29: difficoltà, conflitti e prospettive per la finanza climatica globale.

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L’edizione 29 della Conference of Parties (COP29), svoltasi a Baku dal’11 al 22 novembre è stata introdotta da un contesto fortemente segnato da un insieme di fattori, già vissuti nelle precedenti edizioni, ma ancora più segnati da condizionamenti geopolitici ed economici e da aspettative e obiettivi di contrasto al cambiamento climatico sempre più presenti nel dibattito globale.

Al di là degli eccessi ideologici dalle posizioni espresse da alcuni movimenti politici, gli eventi meteorologici estremi, (ondate di calore, incendi, inondazioni), hanno continuato a caratterizzare il nostro tempo, confermando il tema della resilienza climatica al vertice dell’agenda internazionale. Oltre alla pressione politica del mondo dell’ambientalismo, i governi espressione delle popolazioni maggiormente vulnerabili hanno reso evidenti la necessità di interventi più incisivi.

Nonostante gli impegni presi e gli obiettivi ambiziosi generatisi lo scorso anno nella COP28 a Dubai, erano stati stabiliti obiettivi ambiziosi, come l’accelerazione della transizione dalle fonti fossili e l’introduzione di finanziamenti climatici più consistenti. Tuttavia, molti degli impegni presi hanno subìto rallentamenti e difficoltà realizzative, lasciando un vuoto di fiducia nelle funzioni di questi vertici internazionali, fondamentali per la ricerca di soluzioni equilibrate necessarie alla gestione della difficile transizione energetica.

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Argomento centrale della COP29 era il confronto sulla finanza climatica, un tema strutturale per la definizione di una prospettiva condivisa ed efficace. Il fondo annuale da 100 miliardi di dollari, concordato a Parigi nel 2015, si è rivelato insufficiente e spesso inaccessibile per i Paesi in via di sviluppo. Questa insoddisfazione ha generato richieste più forti per un riequilibrio delle responsabilità finanziarie tra Nord e Sud del mondo, riaprendo ulteriori divisioni già presenti nel contesto che preceduto la COP29. Infatti, Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo hanno mantenuto posizioni divergenti sulla finanza climatica. Mentre le nazioni sviluppate hanno promosso l’uso di meccanismi finanziari misti, inclusa la partecipazione del settore privato, i Paesi in via di sviluppo hanno chiesto maggiori contributi pubblici a fondo perduto. Lo sforzo compiuto nelle lunghe trattive e nei tavoli multilaterali di confronto fra governi durante le settimane di COP29, ha portato a sostituire le previsioni sulla finanza della COP di Parigi del 2015, con un doppio obiettivo che porta ad almeno 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 la mobilitazione di risorse finanziarie, con i Paesi industrializzati nel ruolo di leader, nell’ambito di un più ampio incremento globale e multi-attore della finanza per il clima che punterà a mobilitare almeno 1300 miliardi all’anno entro il 2035. Quest’ultimo incremento entro il 2035 è stato accompagnato da uno scetticismo trasversale, in quanto i dettagli sul reperimento delle risorse rimangono vaghi.

Un accordo comunque che, senza interventi politici autorevoli e concordati dai principali protagonisti del dibattito internazionale, rimarrà un punto di riferimento per i prossimi dieci anni e dovrà essere gestito concordemente. Da quest’ultimo assunto, il protagonismo di alcuni interlocutori è e sarà essenziale per dare continuità agli interventi finalizzati agli impegni presi nelle conclusioni del vertice: dal ruolo della Repubblica Popolare Cinese (principale emettitore di gas serra), degli Stati Uniti e di altre potenze demografiche (India, Brasile, Indonesia…) alle debolezze dell’Unione Europea che, pur impegnandosi a triplicare i fondi per il clima, ha affrontato difficoltà nel negoziare compromessi tra le sue ambizioni climatiche e le pressioni geopolitiche, perdendo parte della leadership dimostrata in passato.

Insomma, un contesto difficile e complesso, nel quale sarà indispensabile sia una regìa attenta e “terza” e soprattutto il coinvolgimento pieno degli Stati determinanti negli equilibri geopolitici.

L’energia è uno dei fattori vitali dei poteri internazionali e la COP29 ha mostrato una crescente frammentazione nella cooperazione globale sul clima, riflettendo le tensioni geopolitiche esistenti.

Per provare a incrementare i livelli di fiducia tra poteri (Governi e multinazionali dell’energia) sarebbe utile ribadire con autorevolezza una regìa internazionale stabilmente al centro delle politiche di indirizzo.

Sarà l’unica strada per muovere gli interessi generali e indirizzare il lavoro per la COP30, appuntamento essenziale per il futuro del nostro pianeta e che si svolgerà in Amazzonia, territorio simbolo del contrasto al cambiamento climatico.



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