Nel nord Italia gli ospedali migliori, ma la ripartizione dei fondi è una questione politica

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Niente di nuovo da Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Nel nuovo rapporto pubblicato ieri in occasione della diciannovesima edizione del Forum sul risk management nella sanità, in conclusione oggi ad Arezzo, la cartina dell’Italia si tinge quasi interamente di verde al nord, passa poi all’arancione nel centro e vira al rosso a sud. Tutte concentrate nell’area settentrionale, infatti, le migliori performance sulla gestione e l’efficienza delle aziende sanitarie pubbliche, ospedaliere e territoriali, le peggiori al sud. Di «equo, solidale, sostenibile», come vorrebbe il titolo del forum, il «nuovo sistema sanitario» ha ben poco.

Se l’ospedale di Cuneo è primo tra 51 aziende ospedaliere in Italia nella classifica che prende in esame i risultati per le prestazioni cliniche e la capacità di conseguire obiettivi assistenziali, l’Asl Napoli 1 centro, l’Asp di Crotone, l’Asl di Matera, l’Asp di Enna e quella di Vibo Valentia sono le meno performanti, secondo il rapporto. Un monitoraggio che prende in considerazione le 110 aziende sanitarie territoriali italiane e si basa sulla valutazione di 34 indicatori, classificati in 6 aree: prevenzione, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera, sostenibilità economica-patrimoniale, outcome.

Sulla prevenzione, il divario nord-sud pare allargarsi ancora di più. Sette donne italiane su dieci tra i 50 e i 69 anni hanno avuto accesso agli screening mammografici a cadenza biennale, tra 2022 e 2023, ma questa media nazionale nasconde profonde differenze interne al paese, come riporta il rapporto Svimez 2024. In cima il Friuli-Venezia Giulia, dove nove donne su dieci hanno potuto accedere ai controlli di prevenzione, mentre all’ultimo posto c’è la Calabria, dove soltanto due donne su dieci hanno avuto le stesse possibilità. Questo buco meridionale ha portato alla cronicizzazione della migrazione sanitaria interna, da sud verso nord.

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Gli ospedali delle regioni settentrionali – dove ci sono centri di eccellenza per specifiche patologie e condizioni generali di cura qualitativamente superiori – ospitano 12.401 pazienti oncologici provenienti dal Mezzogiorno, il 15 percento dalla Campania e il 41 percento dalla Calabria. Nel 2022 la mobilità sanitaria ha interessato 629.000 pazienti, ma vanno ricordate le esperienze positive del sud, sulle quali varrebbe la pena investire per tentare di ridurre le disuguaglianze nella cura. Un esempio, il modello innovativo della rete oncologica campana.

Le risorse a disposizione del sistema sanitario nazionale (Ssn) sono stabilite dal Fsns, il fabbisogno sanitario nazionale standard, costruito su decisione politica del governo in carica. Di anno in anno. In mezzo, un processo che tiene conto del bilancio dello Stato e delle contrattazioni con le regioni, che poi organizzeranno in maniera autonoma i fondi ottenuti. I ragionamenti dell’Fsns dovrebbero garantire la copertura dei Lea, i livelli essenziali di assistenza cui tutti, in ogni angolo d’Italia, dovrebbero poter accedere.

In Italia la spesa sanitaria per abitante è cresciuta, tra 2002 e 2019, soltanto del 5 percento, contro il 15 percento della Germania,  il 13 della Francia, e il 10 della Spagna, nello stesso periodo. In tutti i paesi europei, la necessità di rafforzamento della sanità per far fronte all’emergenza da Covid-19 ha interrotto la lunga fase di disinvestimento pubblico. «Dopo il picco del 2020, l’Italia ha manifestato la riduzione più repentina della percentuale della spesa pubblica sanitaria sul Pil, registrando nel 2023 un valore del 6,2 percento a fronte di una media nell’ultimo triennio del 6,7 percento», si legge sul rapporto Svimez a proposito del nuovo sottofinanziamento della sanità. E per contro aumentano i fondi destinati alla privatizzazione: «la spesa privata – erogata sotto forma di schemi assicurativi volontari e spesa out-of-pocket come ticket e pagamenti diretti – è andata via via sostituendosi alla spesa pubblica anziché aggiungersi, indebolendo le finalità di equità del Ssn».

L’ultima riforma italiana in materia di sanità risale al dicembre 2022. L’obiettivo dichiarato era la distribuzione più equa dei fondi, ma nei fatti il peso attribuito alla demografia e all’età anagrafica è rimasto predominante: aumentano le risorse assegnate al crescere della popolazione residente  e dell’incidenza sulla popolazione residente dei neonati e degli anziani. Mentre «la presa in conto di fattori socioeconomici nei criteri di riparto renderebbe la distribuzione del finanziamento nazionale tra Ssr più coerente con le fnalità di equità orizzontale del Ssn». E accorcerebbe le distanze.



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